Nel primo pezzo di ieri i miei convincimenti erano emersi alla luce di un documento durissimo e, apparentemente, inattaccabile del dimissionario assessore alla legalità del Comune di Napoli. Poche ore dopo, invece, a sorpresa, o quasi, la eco ufficiale alla botta. Non meno dura, anche se in velato politichese. Da qui l’esigenza di una nuova riflessione; atto dovuto nei confronti della controparte – De Magistris – per la sua risposta (con tanto di lettera questa volta) a Narducci; documento di cui non avevo conoscenza finora e che, qui richiamo per ovvi motivi di correttezza. Luccicano di rosso gli attacchi non meno duri al vecchio amico e collega ormai fuori dalla sua Giunta. E soffiano sbuffi di querela nell’aria. Non avere garantito alla sua “giunta di essere totalmente impermeabile al crimine organizzato e alla corruzione”, ragione per la quale lo aveva “scelto”, potrebbe indurre il ‘magistrato’ Narducci a sentire dare dell’incapace o peggio. Ma c’è di più. Su “quello che doveva essere il suo principale campo di intervento, non ho potuto registrare un significativo contributo da parte sua”, “Doveva realizzare una struttura efficace contro la corruzione e il malaffare ma non ha portato nessun risultato in tal senso”. Ancora: “E’ accaduto spesso, (…) che Narducci travalicasse il mandato dell’indirizzo politico spettantegli, interferendo con la legittima azione amministrativa, tanto da essere soggetto, seppur indirettamente, ad una sentenza critica in sede giudiziaria che ha infatti riconosciuto la legittimità dell’azione amministrativa stigmatizzando il comportamento dello stesso assessore” suona quasi come una denuncia, con possibili strascichi, per una accusa gravissima sul piano amministrativo, oltre che etico-comportamentale. Un qualcosa che, chi si sente investito di valori come pubblicamente dichiarati e su cui non abbiamo dubbi, potrebbe scatenare una reazione durissima. Una mazzata dietro l’altra, quindi, nei settori più delicati della vita pubblica. A cominciare dalla lotta al crimine e alla corruzione. A cui si aggiunge anche l’inefficacia dell’ex-assessore alla lotta contro “l’evasione fiscale” in termini di “proposta politica rilevante.” Insomma una bocciatura dietro l’altra, una più sonora dell’altra, a 360 gradi, contro il proprio ex-pupillo. Viene da chiedersi come mai De Magistris si sia accorto solo dopo la ‘fuga’ motivata di Narducci di cotanta ‘incapacità’. Molti conti non tornano, ma è questione legata ai punti di vista dei diretti interessati e a quanto continueranno a dirsi e a ‘darsi’, chissà se soltanto attraverso un dibattito dialettico e/o altro/ve. Che “l’assessore prendesse (…) le distanze dagli atti approvati a mezzo stampa, disconoscendo il confronto e la mediazione raggiunta con tutta la squadra di governo.” non implica necessariamente un atto di irresponsabilità politico-amministrativa di Narducci. C’è il vezzo, nella politica e nella gestione amministrativa della cosa pubblica in Italia, che, quando qualcuno all’interno di una squadra dissente, viene considerato un reprobo, un condannato dalla ‘divinità’ di chi comanda, del capo, dell’assoluto. E’ proprio allora che si sfascia il concetto di democrazia e va a farsi friggere la tanto decantata libertà e indipendenza di idea e di pensiero che, sole e uniche, garantiscono il progresso civile e la crescita della nazione.
Nessuno esclude che De Magistris possa avere ragione. Sta a lui dimostrarlo davvero. Ma avrebbe fatto meglio a battere i pugni e ad alzare i toni, sbattendo magari fiori lui; Narducci, per le incompetenze e/o le incapacità inattese al momento emerse e solo ora contestate. Non il contrario. Farlo, cioè, dopo il fallimento del ‘matrimonio’. Quando le ragioni dell’uno sono sempre assolute rispetto a quelle dell’altro/a. Le accuse di De Magistris, sicuramente politiche (ma mica tanto), vanno in una direzione pericolosissima, come si richiamava testualmente prima: quella della malavita e del malaffare, della (presunta) incapacità dell’uno (Narducci) di fronteggiare il problema, a cui l’altro aveva ancor prima contestato la mancata volontà di tenere fede ai patti. E, cioè, a quei patti per i quali il collega magistrato di un tempo veniva coinvolto in giunta proprio allo scopo di riportare la legalità in una città martoriata da troppo tempo da quell’infame fenomeno sociale e criminale. Insomma, a ‘matrimonio andato a pezzi’ tra i due fieri lottatori, le cortesie verbali sono distanti anni luce; corre solamente il fango di chi contesta all’altro di essere venuto meno al mandato dato o ricevuto. Come per Narducci, anche il dire di De Magistris, quindi, è da brividi. I margini tra i due si restringono visibilmente e, se non interviene qualcuno che conti, il tutto rischia di trasformarsi in quintali di carte bollate. Riconosciamo a De Magistris il merito, sia pure non immediato, di avere comunque dato una risposta a sua volta politica all’ex-collega di giunta, al di là delle battute a caldo francamente inopportune. Tra i due litiganti c’è di mezzo la verità. Che nessuno, tanto meno chi scrive e/o chi legge, conosce davvero fino in fondo. Saranno i fatti a smentire l’uno o l’altro. Sempre che la città di Napoli non tracolli nella sua ennesima fiducia concessa alla classe dirigente, dopo anni e anni durissimi di difficoltà e di passioni.