IL MALE DELLA CALUNNIA

Parlarne male, a tutti costi, sempre e dovunque, pur rischiando di perdere credibilità! Questo sembra l’imperativo che vige ai nostri tempi quando si parla della chiesa. Non ne è immune quasi nessuno, dai giornali alle tv, dalla radio finanche al web. Persino chi si affaccia con presunte alternative esperienze di comunicazione, referenziandosi come rappresentante del nuovo, cade nel vecchio stile trito e ritrito. Quello cioè che, per tentare di avere visibilità, ritiene d’obbligo blaterare male della chiesa. In effetti spesso è un’arma a doppio taglio in quanto, giocando con un filone che tira, si corre il rischio di restarne bruciati. Infatti denigrare la comunità cattolica tira così tanto che si viene riconosciuti, altro che per nuovo, bensì per stantio. E’ vero che spesso questa presta il fianco, ma se vi fosse onestà intellettuale occorrerebbe cavalcare il filone anche per le cose che le fanno onore, o quanto meno mettere sullo stesso piano pareri diversi.  Ma alla fine ciò poco importa e preoccupa, il vero male si realizza quando, baloccando in siffatta maniera, si opera gratuito discredito alle persone. E’ il caso di sacerdoti sbattuti in prima pagina col sospetto di reati dalla nefandezza urticante e che poi, quando vengono riconosciuti innocenti o bersaglio della più vile calunnia, se va bene trovano spazio per dieci parole nella parte più celata del giornale. E’ il caso del vescovo ausiliare di L’Aquila, Mons. Giovanni D’Ercole. Il prelato, carismatico e autorevole, era stato accusato di aver rivelato segreti d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta su un tentativo di truffa con i fondi Giovanardi per il post terremoto, attraverso la fondazione Abruzzo Solidarietà e sviluppo promossa dalla diocesi e dagli enti locali aquilani. Risultato: assolto. C’è stata per questa notizia la stessa rilevanza data all’inizio della vicenda? No! Prova provata che interessa far rumore piuttosto che la corretta informazione. Triste costatazione che ai lettori sovente preme più il gossip che la sostanza. “E’stato un calvario” ha detto Mons. D’Ercole, e come lui chissà quanti lo attraversano. “Ora voglio mettere nuovamente tutte le mie energie al servizio della gente aquilana” ha ribattuto dopo la sentenza, dimostrando quanto può volare alto l’anima di un uomo che si affida a Dio. Renzo Arbore facendo il verso ad una vecchia pubblicità inviterebbe a meditare, io non mi illudo che abbia grande effetto, però volentieri mi associo.

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