Alfonso D’Alessio
“Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza per i bambini nati in Italia da immigrati stranieri“. L’auspicio viene dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che aggiunge: “Negare loro la cittadinanza è un’autentica follia, un’assurdità. Ai bambini nati in Italia in tal modo non viene riconosciuto un diritto fondamentale”. Un augurio che incontra il favore della chiesa che già da tempo si adopera per un pieno riconoscimento del diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. La Chiesa mira alla centralità della persona umana così com’è contenuta pure nell’affermazione dei diritti umani universali. E’ una dialettica dell’uguaglianza e della non discriminazione, potremmo affermare che è dell’inclusione e non dell’esclusione. In questo senso il tradizionale istituto della cittadinanza è spinto ad andare oltre il sistema del privilegio. Spesso, viene ancora teorizzato come metodo di identificazione collettiva che guarda all’interno, celebrato intorno a simboli della storia nazionale con la conseguente esclusione di quanti tale storia non l’hanno vissuta. C’è da chiedersi che senso abbia oggi, in un mondo globalizzato e interdipendente, una cittadinanza che abbraccia alcuni, ed esclude altri che vivono in uno stesso luogo. Lo afferma il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani. Per il porporato l’integrazione degli stranieri è un processo “inevitabile, necessario, irrinunciabile”, e il Cardinale Dionigi Tettamanzi rafforza l’inciso sottolineando che “è l’unico progetto possibile”. Lo stesso Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in Veritate, con lettura profetica dell’attualità, afferma che “il tema dello sviluppo coincide con quello dell’inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli […] che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace”. In questa prospettiva, un segnale forte di concretezza può essere l’attribuzione della cittadinanza ai bambini stranieri che nascono in Italia, fatta salva la scelta alternativa dei genitori. Si supererebbe così il criterio dello ius sanguinis, e si aprirebbe a quello dello ius soli. Cittadino e cittadinanza trovano riferimenti forti e chiari anche nella Sacra Scrittura. Il più esplicito in tal senso è Paolo nella Lettera agli abitanti di Efeso: “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio”. Anche nella Lettera ai Filippesi: “La nostra cittadinanza è nei cieli”. In forza di questa cittadinanza fra i cristiani non può esserci né schiavo né libero: tutti uguali, di pari dignità, perché una cosa sola in Cristo Gesù o, come Paolo dice altrove (Lettera agli Efesini) un solo popolo, mentre prima si era “non popolo”. Ne consegue che in questo mondo i cristiani sono “stranieri e pellegrini”, come ricorda Pietro nella Prima Lettera. Come essere allo stesso tempo cittadini e stranieri? Ne fa una splendida armonizzazione la celebre Lettera a Diogneto. “I cristiani sono nel mondo come l’anima nel corpo”. Tra le ipotesi di difficoltà riscontrabili nel tentativo di cambiare l’approccio nei confronti della cittadinanza ai figli di immigrati, si trova il pregiudizio ideologico e l’aspetto demagogico. Come se si tema che il concedere pari diritti a chi non ha condiviso la storia passata di una nazione, possa essere imprudente. Ma il figlio di immigrato nato in Italia, condividerà la storia futura. In definitiva chi non godrà mai dell’opportunità di essere cittadino italiano, vivrà ai margini, e non beneficiando di nulla, nulla potrà dare. Nell’attesa la Chiesa è operativa come ad esempio nella diocesi di Avellino. In Irpinia il vescovo Mons. Francesco Marino con la Caritas diocesana e il direttore Mons. Ferdinando Renzulli, attraverso il Centro Babele con il Progetto Eureka, oltre alla prima accoglienza, all’immissione dell’immigrato nella logica della domanda, dell’offerta formativa e del lavoro, gli offre un servizio gratuito di consulenza giuridica che lo aiuta a districarsi nella “babele” della burocrazia, tanto difficile anche per chi già gode della cittadinanza. Il fine è quello di far fruire di quei servizi che per ora sono “gentile concessione”, ma che tanto importanti risultano per la sopravvivenza e per il rispetto della dignità umana desiderosa solo di essere accolta.