STRISCIA: la quiete (apparente !!) dopo … la tempesta

Aldo Bianchini

SAN RUFO – Luca Abete e Antonio Marmo hanno fatto pace e, sembra, si siano addirittura stretti la mano, forse solo per il passaggio della famigerata “pigna della pace”. Il caso è chiuso, ha annunciato spavaldamente, in assoluta anteprima martedì 24 aprile, la giovane e rampante Francesca Caggiano che sta entrando con molta speditezza nel “firmamento del giornalismo nostrano” che è carico di invidie, rancori e falsi riconoscimenti.  Il racconto della non meglio identificata “Francesca Caggiano”  si è rivelato, però, un falso racconto/scoop almeno agli occhi di chi ha visto il servizio di Striscia andato in onda giovedì 27 aprile. Sarebbe stato, forse, più opportuno aspettare la messa in onda del servizio prima di annunciarlo, a volte gli “scoop forzati” , o peggio ancora “indotti” , possono essere indigesti. Difatti Luca Abete non è ritornato a San Rufo solo per consegnare la pigna ma per consolidare il servizio precedente con l’accusa conclamata dallo stesso “ingenuo Antonio Marmo” che ha anche candidamente ammesso “il caso” suffragato addirittura dalla sua sospensione dalla Federazione Italiana Sport Equestri (FISE). Insomma Striscia è tornata a San Rufo non solo per far rendere piena confessione al maldestro Marmo ma anche per rimandare in onda quelle brutte immagini reiterando i momenti della brutale aggressione e causando altro danno al nostro territorio, immagini che al cospetto dell’ansimante Marmo (seconda versione !!) sono apparse ancor più gravi e inquietanti. Il caso, dunque, non è chiuso perché chi alza le mani ha sempre torto e va comunque condannato. E sul campo rimangono ferme le domande che ho posto all’inizio di questa storia e che riassumo così: “Fino a che punto può arrivare l’informazione forzata? E fino a che punto i colleghi del Vallo hanno sbagliato raccontando i fatti veri?”. La seconda domanda ha una secca risposta: i colleghi  hanno fatto benissimo. Per la prima domanda la risposta è più complessa ed articolata, alludo ovviamente a Striscia La Notizia che da un ventennio ci accompagna con interventi giusti e intelligenti e con altri, invece, di cattivo gusto e di bassa lega. Oltretutto un’altra notizia c’è ma la Caggiano non l’ha data (per timore o perché non la conosceva?) e riguarda la posizione di Luca Abete che non sarebbe in possesso della tessera di iscrizione all’Albo dei Giornalisti. E questo cosa vuol dire e cosa conta, dirà subito qualcuno. La risposta è che forse sul piano formale non conta niente per il modo in cui viene osannato anche da noi giornalisti, ma che dal punto di vista sostanziale la differenza c’è e come ed è tutta a danno della categoria che non riesce più a difendersi, preda e vittima com’è delle prepotenze di “falsi editori”. In queste settimane l’ho verificato, per l’ennesima volta, sulla mia pelle per aver difeso quei ragazzi licenziati da Uno/Tv. A parte il fatto che nessuno di loro ha avuto la forza o il coraggio non dico di ringraziarmi ma almeno di salutarmi, la difesa mi ha attirato addosso anche le ire del presunto editore di quella tv. Vado, però, avanti forte del fatto che non faccio queste cose per ingraziarmi qualcuno o per essere ringraziato da altri. Detto questo mi permetto di offrire alcune riflessioni a Francesca Caggiano che con il suo articolo “Stretta di mano tra Antonio Marmo e Luca Abete” (pubblicato sul ROMA il 24 aprile scorso) mi è apparsa troppo decisa e sicura di se in un mestiere che, ripeto, è irto di difficoltà. La sicurezza è doverosa, ma in questi casi un po’ di umiltà e di prudenza non guasterebbe,   tanto è vero che è stata subito smentita dallo stesso Abete tre giorni dopo. Deve imparare a fare nomi e cognomi se vuole essere credibile e poco banale. Ad esempio, mi piacerebbe sapere il nome di quella tv anonimamente citata nel suo articolo; così come mi piacerebbe capire come fa ad “individuare facilmente” i falsi profili di face-book quando neppure la Polizia Postale ci riesce. Chi sono, poi, quei giornalisti che si sarebbero scagliati  contro OndaNews ? Insomma le frecciate al veleno e i messaggi in codice lasciamoli ai politici. Noi siamo, o dovremmo essere, soltanto giornalisti e per questo non dovremmo mai accapigliarci tra di noi. Ne  va di mezzo, non solo il territorio di appartenenza, ma soprattutto la nostra categoria. Qui nessuno è soddisfatto più dei “pugni” che delle “pigne” e nessuno attende il momento propizio per “sputare il rospo”. Una cosa, però, è certa: la vita, forse, dovrà ancora insegnare qualcosa anche a me, figurarsi ad una giovane giornalista. Con tutto il rispetto possibile, ovviamente.

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