PAGANI – Sarà colpa dei tanti commissari giunti a Pagani (Bruschi, Scigliuzzo, Mazza e Cassio), sarà colpa dei politici, sarà colpa degli amministratori, ma a Pagani venerdì sera 6 aprile 2012 si è consumata una vicenda che ha dell’assurdo. Il glorioso Gonfalone (lo stendardo rosso verde, dai ricami d’oro e con il pino secolare) non è uscito da Palazzo San Carlo. La sua assenza quasi a voler significare che tutta la Città è macchiata dalla camorra; sarà questa una forzatura ma il paragone è assolutamente simbolico e la voce, comunque, è circolata tra la gente. Incredibile, ma vero. Proprio nel momento della passione di Cristo, durata oltre quattro ore, accompagnato in processione con la Madonna da una enorme folla di paganesi, sono state chiuse tutte le porte in faccia a tutta la popolazione la cui stragrande maggioranza non è né camorrista né mafiosa né delinquenziale. Ma le porte del tempio si sono chiuse in faccia, questa la dura realtà. Quelle porte del tempio simbolicamente chiuse dai farisei in faccia alla Madonna Addolorata che non poteva e non doveva vedere lo strazio che veniva fatto delle spoglie del Gesù Morto. Mai si era verificato un affronto del genere, neppure ai tempi di “Cartuccia” e di “Setteventi” quando il consiglio comunale venne sciolto per la prima volta a causa delle infiltrazioni camorristiche. Anche allora nessuno osò sfidare il popolo, sano ed intellettualmente intergo rispetto alle proprie tradizioni, ed il “Gonfalone” per due anni di seguito sfilò regolarmente. Probabilmente oggi i costosi commissari, gli insipienti politici, gli inutili amministratori non hanno saputo affrontare la situazione e prenderla di petto, come si conviene ad uomini veri. Non servono a nulla i commenti a posteriori, anche se di stupore, di Salvatore Sorrentino, di Antonio Donato, di Salvatore Bottone e di Vincenzo Paolillo che hanno inondato di chiacchiere le pagine dei giornali. Quando la paura prende il sopravvento è il segno inequivocabile che manca un leader e che si è persa l’identità. Soltanto Massimo D’Onofrio non si è smarrito ed ha avuto coraggio e, sfidando anche commenti salaci, ha portato come sempre il Gesù Morto. Del resto il leader indiscusso la città di Pagani lo aveva, anzi se l’era costruito dopo decenni di oblio e di disattese speranze, ma quel leader oggi è lontano dalle processioni, dalle acclamazioni facili, dalle false ostentazioni, impegnato com’è a difendersi da assurde ed infamanti accuse: è come un re che ha perso la cappa, almeno per il momento. Adesso, però, la popolazione comincia a capire, comincia a scuotersi dal lungo torpore che dura fino ad oggi da quel lontano 15 luglio 2011, comincia a fare domande precise e sempre più pungenti, comincia anche a contestare, apertamente come ha fatto l’altra sera per le strade di tutta la Città al seguito delle due statue che, per certi versi, simboleggiavano il re senza cappa (Gesù) e lo stupore doloroso del popolo (Madonna). Qualcuno adesso griderà allo scandalo e guarderà a questo accostamento indicandolo come blasfemo, faccia pure, non ho problemi di alcun tipo, la penso esattamente così. L’immaginario collettivo adesso aspetta la controprova dell’ottava di Pasqua quando Pagani celebrerà la “Festa delle Galline”, vorrà capire fino a che punto l’insipienza degli uomini può arrivare. Vedremo, il popolo ha sempre ragione e il popolo rivuole il suo leader. Appena un anno fa ero presente per le strade di Pagani nell’ottava di Pasqua. Alberico Gambino indossava la fascia tricolore, intorno a lui uno stuolo di falsi adulatori, di mercenari disposti a qualsiasi tipo di compromesso, di politicanti di professioni e di questuanti di giornata. La folla intorno che lo osannava senza reticenza e senza il minimo senso del pudore, capisco che allora Gambino rappresentava il leader a tutto tondo ma ognuno dovrebbe avere nei comportamenti pubblici un minimo di compassata decenza. Dove sono finiti gli adulatori, i politicanti e i questuanti? Io rimasi immobile sul marciapiedi, lo salutai da lontano e lui con un cenno della mano educatamente rispose al mio saluto. Mi apparve frastornato, quasi travolto, dal successo e dalle esaltazioni collettive. Sbagliava, come sbagliano troppi politici nel momento in cui toccano l’apice del successo, come sbagliano gli uomini quando non sanno distinguere i fedeli dai traditori nella pletora osannante. E pagano, irrimediabilmente, per le colpe che comunque hanno, ma anche per le colpe presunte. Un brivido di freddo serpeggio lungo la mia schiena, le inchieste giudiziarie stavano lievitando, ma allontanai subito i brutti pensieri dalla mia mente. Niente da fare, dopo poco più di due mesi il disastro a causa di un complotto ben architettato e studiato a tavolino, i cui non sono assolutamente incerti. Mercoledì prossimo si torna in aula. Alla prossima.
direttore: Aldo Bianchini