PAGANI – Alla puntata n.40 della lunga storia inerente il processo “Linea d’ombra” ho dato un titolo provocatoriamente in antitesi con quanti, della carta stampata e delle tv, continuano ad appiattirsi sulle posizioni della pubblica accusa. Il caso dell’ex comandante dei vigili urbani di Pagani (meglio dire polizia locale) che, secondo alcuni, avrebbe perso la memoria in aula è la rappresentazione più emblematica e chiara di quello che è il nuovo processo penale che dal codice Rocco “processo inquisitorio” degli anni neri del fascismo, si è trasformato in “processo accusatorio”. La differenza è sottile ma assolutamente sostanziale e i giovani cronisti di giudiziaria farebbero bene a sposarla fino in fondo. Prima la prova veniva formata in istruttoria mentre oggi la prova deve essere formata in dibattimento. Ovviamente sempre in breve, perché ci vorrebbero pagine di diritto che io non sono all’altezza di scrivere per spiegare meglio e più compiutamente. Insomma se prima la ritrattazione in dibattimento di una testimonianza poteva facilmente dare luogo ad una “falsa testimonianza” con tutte le conseguenze del caso, oggi la pubblica accusa (cioè i PM) possono attaccarsi al tram (come si suol dire in gergo popolare colorito!!) e minacciare soltanto denunce e quant’altro. Il teste ha diritto a ritrattare, per carità nei modi e nelle forme previste e lecite, ma ha diritto a ritrattare, o meglio ancora a ricordare realmente come sono avvenuti i fatti. Ritornando al caso dell’ex comandante Dino Rossi cosa vuol dire “perde la memoria”, perché non potrebbe essere che invece di perderla ha “ritrovato la memoria” proprio nel luogo più giusto e più garantista che esiste nell’ambito dell’intero processo penale italiano: l’aula del dibattimento che, non a caso, in qualche puntata precedente ho definito come un “sacrario di libertà” in cui ogni testimone ed ogni imputato deve sentirsi completamente al sicuro da ogni tipo di timore o di pressione psicologica. In dibattimento ci sono tutte la parti in causa dall’accusa alla difesa, dalla parte civile al tribunale, e quindi è proprio il dibattimento il momento ideale ed unico per la formazione della prova che porterà al giudizio il collegio giudicante. Ovviamente non solo i giovani cronisti ma anche tanta parte dei PM dovrebbero convincersi che se il processo ha avuto un simile cambiamento epocale non è stato soltanto per caso. Del resto la storia della giurisprudenza penale del nostro Paese è piena zeppa degli abusi, delle pressioni, delle minacce, dei tintinnii di manette che hanno scosso l’opinione pubblica per quanto avveniva ed avviene nelle segrete stanze delle Procure italiane. Ricordo il caso di un giovane PM del distretto giudiziario di Salerno che interrogava gli indiziati e/o i testi dondolando le manette sul viso di chi veniva interrogato e non solo, gli mancavano solo le pistole nel cinturone e gli stivali di sceriffo con tanto di speroni. Finì davanti alla commissione disciplinare del CSM. Ecco perché il legislatore, alla fine, ha posto dei paletti a garanzia dello stato di diritto di ognuno di noi. Ma, voglio dire, se lo stesso “incidente probatorio” (che ha sostituito la vecchia e intoccabile “dichiarazione a futura memoria” tipica del processo inquisitorio) può essere rivisto e ritrattato (vedasi il caso di Avetrana!!), per non dire pienamente rifatto, qual è lo scandalo di una ritrattazione in aula, soprattutto quando questa avviene (come nel caso di Linea d’Ombra) in un “processo immediato” che ha saltato la delicata fase dell’udienza preliminare dinnanzi al GUP. Poi i PM possono pensarla come vogliono ed hanno tutto il diritto di farlo e di rimettere il verbale della deposizione ritrattata al PM competente per una indagine più approfondita. Il problema è che dobbiamo abituarci tutti a cambiare mentalità e capire che quando inizia il processo pubblico tutto quello che è accaduto prima va resettato, perché in aula si riparte da zero e tutti sono alla pari dinnanzi al giudice naturale che è il “collegio giudicante”. Ma c’è un altro argomento che intendo affrontare nella prossima puntata, quello relativo alla Commissione d’Accesso ed alla decisione romana di sciogliere il Consiglio Comunale di Pagani. Anche in questo caso non è mancata una usuale leggerezza di certa stampa, capire la genesi del meccanismo che ha portato allo scioglimento potrà essere utile ai tanti nostri lettori. Perché in questo caso specifico, a mio opinabilissimo avviso, ci troviamo davvero di fronte all’evidenza di come la giustizia si “incarta su se stessa”. In sintesi lo scioglimento del consiglio potrebbe essere stato un punto a favore degli imputati e non della pubblica accusa. Ma questo lo vedremo nella prossima puntata.
direttore: Aldo Bianchini