La pratica dello scalpo consisteva nello strappare i capelli ai propri
avversari dopo averli sconfitti e uccisi. Un atto efferato ed inutile,
perché praticato a vittima già morta, che avveniva solo per dimostrare che
l’avversario era stato definitivamente sconfitto.
L’articolo 18 è lo scalpo.
Dopo aver stravolto la struttura del diritto alla pensione facendolo
diventare un miraggio in assenza pressoché totale di resistenza e
contrapposizione, nella trattativa sul mercato del lavoro e sugli
ammortizzatori sociali, le organizzazioni sindacali invitate hanno
pressoché unanimemente accettato la riduzione complessiva della copertura
degli ammortizzatori sociali attuali. Scompare la cassa integrazione
straordinaria in caso di chiusura azienda, e scompare la mobilità e quindi
la riduzione della tutela in caso di licenziamenti collettivi, che passa di
fatto da quattro anni ad un anno, sostituendola con una fantomatica ASPI
(assicurazione sociale per l’impiego) che, essendo un’assicurazione,
probabilmente sarà finanziata anche dagli stessi lavoratori, e che ha un
tetto massimo di 1.119 euro lordi riducibili dopo sei mesi e poi ancora
ulteriormente riducibili e così via.
Sulla riforma dei contratti non vengono cancellate né la Legge 30 né il
pacchetto Treu che hanno introdotto ed incistato la precarietà in tutte le
pieghe della società, non solo nel lavoro, e che sarebbero davvero le norme
da far scomparire, ma si fa una operazione di maquillage sui tempi
determinati e sulle partite IVA improprie.
Almeno questo è ciò che si capisce ad oggi dalle notizie di stampa,
perché un testo vero e proprio non c’è ancora e le sorprese potrebbero
non essere finite qui. Quello che si capisce con certezza è che su queste
proposte c’è un sostanziale accordo sia della politica che delle parti
sociali.
A questo punto, quando è evidente che la precarietà continuerà a farla da
padrone nel nostro ordinamento e nelle nostre vite e che le imprese avranno
il completo dominio sul lavoro grazie all’acquiescenza di tutti, sindacati
e forze politiche, e con grande soddisfazione dei rappresentanti del
capitale e degli interessi del mercato, si decide di manomettere, per farla
scomparire, la normativa che fino ad oggi ha tutelato i lavoratori dai
licenziamenti discriminatori ed illegittimi.
Non c’entra nulla con la trattativa, non è materia di strumentazione
contrattuale, non è materia di ammortizzatori sociali, è solo lo scalpo
che deve stare a dimostrare che la vittoria è totale, senza via d’uscita,
che non c’è modo di far tornare in vita il morto. E qui viene il bello.
Alcuni, di quelli invitati, decidono che tanto vale farsi anche scalpare,
altri strillano perché ciò non avvenga, senza rendersi conto che sono già
stati uccisi.
La forma con cui si è per il momento concluso il giro di valzer della
trattativa – la stesura di un verbale che registra le posizioni invece del
classico accordo fra le parti – certifica la definitiva uscita da destra
dalla concertazione e la fine del ruolo dei corpi intermedi sociali di cui
il capitale e la borghesia oggi vorrebbero fare definitivamente a meno,
relegandoli, bontà loro, al ruolo, comunque economicamente remunerativo, di
amministratori dell’enorme contenzioso che si produrrà con queste norme.
Ovviamente ben vengano le resistenze, ben venga il fatto che non tutti a
quel tavolo hanno accettato anche di farsi scalpare. A noi però sembra,
ovviamente, del tutto insufficiente.
Se lottare si deve, lo si faccia con la maggiore forza ed unità possibile
per ribaltare la logica secondo cui il lavoro non è più un diritto, come
già la pensione, il salario, la casa, la salute, l’istruzione, i beni
comuni, ma un generoso lascito del capitale di cui diventa definitivamente
variabile dipendente.
Non basta lottare per lo scalpo, bisogna lottare per sconfiggere questa
tendenza e riconquistare diritti.