Il 2012 sarà ricordato come l’anno della lunga estate calda; ovviamente questa previsione non è assolutamente meteorologia ma economica.
A partire dall’estate si vedranno in maniera più forte e decisa, per le tasche degli italiani, le implementazioni del Decreto Salva Italia: tra gli altri, farà il suo ingresso la nuova Imu che colpirà i proprietari di immobili, a fine giugno i risparmiatori si vedranno addebitati i nuovi bolli sui titoli di stato, pari allo 0,10% dei titoli posseduti, si assisterà agli effetti del decreto sulle liberalizzazioni e alla modifica dello statuto dei lavoratori dove, seppure con delle maggiori tutele per i più giovani, saranno limitate le garanzie acquisite per i dipendenti privati con contratto di lavoro a tempo indeterminato (i dipendenti pubblici continueranno a mantenere i diritti acquisiti).
Una serie di manovre messe in campo per far “quadrare i bilanci” si è detto, per ridurre il mastodontico debito accumulato e il deficit in crescita; una manovra che servirà a rilanciare l’Italia, che sta seguendo in maniera corretta le indicazioni dell’Europa e delle istituzioni finanziarie e monetarie per rilanciare in maniera flessibile la sua economia e recuperare la produttività perduta nel corso dell’ultimo decennio. Spesso si è fatto riferimento al paragone con la Grecia, che ha spesso disatteso le indicazioni di Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale e che, vicina al default, è stata salvata sul lastrico: morale per noi italiani è quella di fare sacrifici con una manovra lacrime e sangue, ma necessaria per non finire come Atene.
Un eccessivo rigore non sarà probabilmente la via di uscita dalla crisi o la panacea dei mali dell’economia italiana, a mio parere. Ovviamente è un parere, non essendo un esperto di bilanci dello stato, ma ci terrei a sottolineare dei punti ai quali fare attenzione onde evitare il permanere di una recessione asfissiante anche da noi.
Siamo sicuri che una manovra eccessivamente restrittiva possa sanare i bilanci dell’Italia e ridurre il debito? La risposta è molto complessa: certamente disattenderli come ha fatto la Grecia non porterà alcun risultato se non quello dell’insolvenza, ma neanche attenersi pedissequamente a delle manovre correttive come richiesto dalle istituzioni sovranazionali sembra essere la soluzione giusta alla crisi. Un esempio per tutti il Portogallo: in questo caso la nazione lusitana è stata sempre presa ad esempio come l’alunno modello che ha seguito alla lettera le indicazioni della troika (Fmi, Ue e Bce) per il risanamento dei suoi conti pubblici. Un risanamento che ha comportato, tra gli altri, la riduzione dei salari minimi, della spesa pubblica, l’aumento della tassazione e dell’Iva in particolare che, dal 12% è balzata al 23%.
Dopo questa cura da cavallo la situazione sarebbe dovuta migliorare, purtroppo si è assistito al contrario, aumenta il deficit ed il debito ed anche per il 2012 il Portogallo sarà in recessione. Semplificando il discorso la motivazione alla base di tutto è la forte riduzione dei consumi, l’aumento della disoccupazione con la conseguente diminuzione della base imponibile.
Veniamo alla questione lavoro: ben vengano le maggiori tutele in campo per i precari, che serviranno a garantire un futuro di maggiore stabilità per moltissimi giovani che da anni lavorano privi di qualsiasi protezione. I nodi che vengono invece al pettine sono relativi a chi già lavora con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, che potrà essere licenziato per ragioni economiche senza obbligo di reinserimento da parte del datore di lavoro una volta risanata l’azienda. Questa modifica dell’articolo 18 è pericolosa e in alcuni punti iniqua, in quanto non va a toccare i dipendenti pubblici, ma solo quelli privati.
L’obiettivo della modifica dello statuto dei lavoratori è quello di rendere il mercato del lavoro italiano più flessibile, che possa essere maggiormente attrattivo per grandi gruppi industriali e creare occupazione sul territorio. Anche qui ci sono, però, dei forti limiti: i grandi gruppi industriali abbandonano l’Italia per una serie di motivazioni molto complesse che vanno al di la della licenziabilità più facile per i lavoratori, le cause principali sono:
– il costo degli oneri e della tassazione a carico delle imprese quando assumono dei dipendenti, più alte che negli altri paesi, un dato indipendente dalla possibilità o meno di licenziarli
– l’eccessiva burocrazia e le inefficienze della pubblica amministrazione, sia per l’insediamento di nuovi stabilimenti che per la gestione ordinaria dell’azienda
Se aggiungiamo a questo che i grandi gruppi possono insediarsi in Serbia o in Albania, pagando anche meno della metà i loro dipendenti, si viene ad innescare una spirale viziosa; la semplice modifica dell’articolo 18 produrrà il solo effetto di licenziare in massa migliaia di dipendenti senza alcun vincolo se non quello di un risarcimento economico, spostando ancor più selvaggiamente la produzione all’estero.
La Germania, al contrario, i cui lavoratori sono pagati più degli italiani, hanno un sistema più dinamico ed una pubblica amministrazione più efficiente che permette loro di essere competitiva anche sullo scenario globale.
La manovra non risolve i veri problemi dell’Italia: tutte le manovre correttive di bilancio imposte al nostro paese da parte della comunità finanziaria e dagli enti sovranazionali, non porteranno dei grandi benefici a nostro parere in quanto non si è ancora intervenuto sugli sprechi della politica, sull’inefficienza e l’eccessiva burocratizzazione della pubblica amministrazione,i soli timidi interventi sono stati sotto forma di dichiarazione di intenti. Quello che viene fatto è chiedere sacrifici all’Italia produttiva e al ceto medio, ai piccoli imprenditori, agli artigiani che fanno del Made in Italy un segno distintivo sulla scena internazionale. Ci si chiede, quindi, a quale base imponibile si potrà fare affidamento in futuro se si andrà a depauperare proprio la base stabile della nostra economia?
L’analisi non deve concludersi solo con una critica di quello che non va attualmente, ma si deve necessariamente chiudere con la proposta di riflessione e diffusione di un nuovo modello di sviluppo, nato in Austria ed avviato da qualche tempo anche in Italia, a Bolzano, che sta riscuotendo un discreto successo con la creazione di nuovi posti di lavoro, argomento che verrà trattato prossimamente.
Bravo, come sempre chiaro ed esaustivo. Il governo dei tecnici? Pierre Carniti ha dato un giudizio interessante (vedi puntata del 19 marzo de “L’Infedele”).
Purtroppo il calore non si limiterà a questa estate, ma in maniera piuttosto permanente. Sono d’accordo, il problema non è di flessibilità di lavoro, ma di altre tematiche. La Spagna ha un mercato del lavoro flessibile ,ma nessuno investe…………..e poi siamo ben lontani da sistemi di lavoro flessibili ben collaudati come quello inglese per esempio. In tale fase un sistema del genere, senza collaudo, porta a delle pericolose tensioni sociali…..