Maghreb: il grido delle donne, “libertà a repentaglio”

Maria Chiara Rizzo

A pochi mesi dalla vittoria dei partiti islamici alle elezioni politiche in Tunisia e in Marocco, le donne manifestano le loro preoccupazioni per il rischio di retrocessioni del loro ruolo nelle società Maghrebine. Per la prima volta nella storia dei due Paesi del Nord Africa, due partiti islamici hanno ottenuto la maggioranza al governo: la formazione politica tunisina  Ennahda e il Partito di Giustizia e Sviluppo (PJD) marocchino hanno vinto in modo netto rispettivamente le elezioni di ottobre e di novembre 2011. E’ inutile dire che le due compagini hanno avuto anche un forte supporto dalla componente femminile della popolazione, proprio quella che nella “primavera araba” ha riposto speranze e fiducia. “Come ben sapete, durante l’ultimo decennio il Marocco ha registrato progressi significativi in materia di promozione e salvaguardia dei diritti delle donne”- così ha esordito l’Associazione Democratica delle Donne marocchine (ADFM) in una lettera trasmessa al Capo di governo, Abdelilah Benkirane, annoverando i principi di uguaglianza e parità tra i sessi, sanciti dall’art. 19 del nuovo testo costituzionale, adottato in seguito al referendum del 1ᵒ luglio 2011. Amina Lotfi, presidente dell’associazione, parlando alla stampa, si è detta allarmata, nonostante sia troppo presto per valutare l’operato del PJD, per i rischi di una recessione culturale e delle libertà che corre la società marocchina. Il Partito di Giustizia e Sviluppo ha riscosso maggiore successo delle altre formazioni politiche in quanto si è presentata alle elezioni politiche come la più organizzata. Inoltre, secondo opinioni di cittadini marocchini, vi è una sorta di riconoscenza nei confronti del partito che ha sempre sostenuto le famiglie nella vita quotidiana. Per la presidente dell’ADFM “il programma del governo fa leva su un discorso ideologico e moralizzatore che relega la figura femminile allo spazio privato della famiglia”, senza fare alcun riferimento alle libertà faticosamente conquistate . Le preoccupazioni maggiori sono rivolte al dossier del matrimonio, in un Paese in cui la poligamia non è formalmente vietata e ragazzine di 12 e 13 anni continuano ad essere “date in sposa” e sul cui argomento gli esponenti del PJD non hanno manifestato l’intenzione di pronunciarsi a garanzia delle giovani donne. I timori che si fanno largo in Tunisia sono ancora più preoccupanti, essendo questo Paese il più avanzato del mondo arabo in quanto a conquiste dei diritti delle donne a partire dal’adozione dello statuto personale nel 1956. Anche qui, nel Paese che per primo ha inaugurato la stagione della “primavera araba”, sembra essere a rischio lo status delle donne, con particolare riferimento al  matrimonio e al modo di vestire. Quasi del tutto scomparso nel Paese, l’orfi, matrimonio non civile- che richiede la presenza di due testimoni e non attribuisce alcuna voce in capitolo alla futura sposa-, oggi è ritornato ad essere al centro di dibattiti politico-religiosi, dove ha trovato di nuovo spazio la questione del niqab, velo integrale femminile che ha fatto la sua comparsa dopo la rivoluzione. In Tunisia i toni sono accesi per la redazione del nuovo testo costituzionale, in cui le donne chiedono l’inserimento di diritti tesi a promuovere la loro emancipazione e a proteggerle, intraprendendo, così, la lunga strada verso l’uguaglianza e la parità dei sessi. A quanto pare il partito di Ennahda non ha risposto positivamente a tali richieste, ribadendo che “l’idea di una separazione della politica dalla religione è estranea all’Islam”.

 

 

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