Atti di estrema violenza hanno caratterizzato la consultazione elettorale, tenutasi il 21 febbraio scorso in Yemen, che ha portato all’elezione di Abd Rabbo Mansour Hadi alla carca di residente provvisorio, segnando definitivamente la fine dell’epoca di Ali Abdallah Saleh , al potere per 33 anni. Dopo Tunisia, Egitto e Libia, anche lo Yemen ha assistito alla caduta di un regime dispotico contro cui ha protestato la popolazione, mettendo a rischio la propria vita. Nel sud del Paese, dove il Movimento separatista sudista ha invitato i cittadini a boicottare le elezioni, ci sono stati otto morti.
L’elezione del nuovo presidente in carica è il risultato di un accordo per la transizione, sostenuto dall’Unione Europea, Stati Uniti e Onu, che prevede che Hadi rimanga al potere per due anni durante i quali, oltre ad essere indette elezioni multipartitiche, dovrà essere varata una nuova costituzione.
Gli episodi di violenza registrati nel sud del Paese, dove sono presenti spinte indipendentistiche e dove il Movimento aveva richiamato alla “disubbidienza civile”, ammettendo anche il ricorso alla forza, ha portato alla chiusura anticipata di parecchi seggi. Le elezioni sono state boicottate anche in alcune aree del nord, ma, nonostante ciò, la Commissione elettorale ha riferito che l’affluenza è stata massiccia in tutto il Paese che conta 10 milioni di elettori su una popolazione di 23 milioni. Non essendoci candidati alternativi a Hadi, l’affluenza alle urne sarà il vero criterio per verificare la legittimità del nuovo presidente.
Molti sono i dubbi sul fatto che si tratti di una vera transizione: alcuni comandi militari restano nelle mani dei familiari di Saleh, che, attualmente negli Stati Uniti per cure mediche, ha annunciato di volere tornare in patria alla guida del suo partito, il Congresso generale del popolo.