Le sanzioni commerciali adottate dall’Europa e dagli Stati Uniti contro l’Iran cominciano a fare sentire il loro peso sull’economia iraniana e sulle relazioni che la Repubblica Islamica intrattiene con i Paesi asiatici. L’Occidente, che accusa Teheran di lavorare al programma nucleare per dotarsi di armi atomiche, ha irrigidito le sue posizioni nel corso dell’ultimo anno con misure aspre nei confronti della Banca centrale iraniana e con la brusca riduzione delle importazioni di greggio dall’Iran. Alla stregua dell’Unione Europea, Cina e Giappone hanno ridotto sensibilmente le quantità di petrolio acquistate dalla Repubblica Islamica, contribuendo al ridimensionamento delle sue fonti principali di divise estere. Le sanzioni hanno indirettamente provocato un aumento del prezzo delle importazioni iraniane e un rincaro delle derrate alimentari di prima necessità, con forti ripercussioni sulle tasche dei cittadini. Venduta a circa 30 dollari al kg a Teheran, la carne è diventata un alimento per pochi, mentre pane e riso sono gli alimenti base della gran parte della popolazione, nonostante i rincari che hanno interessato i due prodotti: il prezzo del pane è triplicato e 1 kg di riso costa l’equivalente di 5 dollari in un Paese in cui il reddito medio è pari a 350 dollari al mese. Le misure si sono tradotte in mancati pagamenti delle importazioni di riso indiano, mentre i produttori ucraini hanno bloccato i trasferimenti dei prodotti cerealicoli verso il Paese musulmano. Anche l’export di olio di palma , che ammontava a 30 mila tonnellate al mese, è stato sospeso a partire dall’inizio del 2012. Ma la paralisi investe tutti i settori: la Cina ha annunciato la riduzione delle importazione di prodotti minerali a partire da marzo prossimo, merce per cui nel 2011 l’Iran è stato il quinto rifornitore del Paese asiatico.