Ciclismo: da Gaul a Contador

Aldo Bianchini

SALERNO – Sono stato e sono un appassionato dello sport in genere, dall’atletica leggera che ho praticato fino al ciclismo passando per quasi tutti gli sport cosiddetti minori, con il calcio sempre sullo sfondo. Sono stato tifoso vero e sfegatato di un solo sport: il ciclismo. La mia passione cominciò l’8 giugno del 1956. In casa mia a Muro Lucano (PZ) dove vivevo il televisore era arrivato da pochi giorni e quel pomeriggio di sole da una mini rubrica sportiva vidi per la prima volta il compianto Charly Gaul (nato l’8 dicembre 1932 e deceduto il 6 dicembre 2005 all’età di 73 anni). Una immagine indelebile di un campione di altri tempi: da una nebbia fittissima e da una tempesta di acqua e neve venne fuori quasi sulla linea del traguardo la minuscola e mitica sagoma del lussemburghese, solo, assolutamente solo. Vinse la tappa Merano-Bondone, aveva scalato da solo i passi Rolle e Valsugana, entrò subito nella leggenda del ciclismo. Vinse ovviamente anche il giro d’Italia di quell’anno. Dopo di lui arrivarono Alessandro Fantini (dopo 8 minuti) e il grande Fiorenzo Magni (dopo 12 minuti) con una spalla rotta. Poi più nessuno. In seguito si disse che sul Bondone in effetti era arrivato soltanto Gaul e che per poter continuare il Giro fu necessario portare almeno altri due corridori per riempire il podio finale; diversi altri furono riammessi in gara fuori classifica. Da quel momento non smisi mai di tifare per Charly Gaul che mi diede altre immense soddisfazioni sportive; vinse il Tour del 1958 e rivinse il Giro del 1959 con un’altra epica impresa sul Piccolo San Bernardo dando ben 9 minuti di distacco al prodigioso francese Jacques Anquetil che era il grande favorito. Aveva perso per una sciocchezza il Giro del 1958 e non gli fu possibile l’accoppiata Giro-Tour; pensate, durante una tappa confidando sul suo vantaggio si fermò a fare “la pipì” e non si accorse che i suoi avversari Louison Bobet e Gastone Nencini lo attaccarono a fondo facendogli perdere la corsa a tappe. Ma quello era, oviamente, un ciclismo d’altri tempi.  Si ritirò nel 1962, alla giovane età di trent’anni, subito dopo essere diventato per l’ennesima volta campione nazionale del Lussemburgo. Per anni, dopo Gaul, andai alla ricerca del mio campione preferito, pensavo di averlo trovato in Marco Pantani. Non sapevo che con lui avrei abbandonato definitivamente l’amore per questo sport d’altri tempi. Accadde in quel maledetto pomeriggio del 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio, proprio alla vigilia di una nuova vittoria al Giro arrivò quella stranissima ed incomprensibilissima squalifica. Per Marco (mai realmente positivo al doping) fu la fine, nonostante le riprese successive. Per me si chiudeva inesorabilmente un’epoca,  l’ultima possibilità di amore per uno sport che, nel bene e nel male, da Binda a Girardengo, da Bartali a Coppi, aveva segnato anche la storia del nostro Paese. Qualcuno quel pomeriggio aveva voluto chiudere una lunga storia a tutto vantaggio della federazione ciclistica transalpina che da quel momento ha dettato legge a trecentosessanta gradi. Io personalmente non ho creduto più nella genuinità di questo sport, troppi soldi e troppi interessi, finite le cavalcate mitiche sulle strade polverose, finiti i veri grandi campioni (l’ultimo fu Pantani) capaci di grosse imprese e di umane debacle. Ecco apparire la fantascientifica carriera, quasi da astronauta, di Lance Armstrong. Creato in laboratorio, voluto tenacemente dalla federazione francese, Lance infila ben sette Tour di seguito, dal 1999 al 2005, un’impresa quasi disumana, da uomo bionico. In quegli anni appariva a giungo e scompariva a fine luglio dalle scene ciclistiche, vinceva il tour e poi buio assoluto. Misurava le energie come un farmacista, centellinava ogni piccolo sforzo, ma vinceva, anzi stravinceva. Non mi ha mai appassionato, lo vedevo come una macchina da laboratorio, non aveva niente di umano a parte la sua sbandierata malattia brillantemente superata (aveva un cancro!!), si ritira alla fine del Tour 2005, dopo 83 giorni passati in maglia gialla, per poi rientrare malamente e da sconfitto. Era nato un altro mito, nel frattempo, con un nome preciso: Alberto Contador. Mai benvoluto, solo sopportato dai francesi: tre vittorie al Tour nel 2007, 2009 e 2010, due al Giro  nel 2008 e nel 2011, una Vuelta nel 2008. Troppo per i francesi, insopportabile, ed ecco la tagliola del TAS (il tribunale del ciclismo) con una squalifica al rallenty e con effetto retroattivo, gli scippano un giro e un tour, Volendo potrebbe ritornare alle gare nel prossimo mese di agosto, ma con quale credibilità e, soprattutto, in nome di quale sport. Come si fa a distruggere in questo modo un campione di razza (Contador) ed a santificare un mostro di laboratorio (Armstrong) ? Risposte che non mi interessano più, per me il ciclismo ha chiuso i battenti nel primo pomeriggio del 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio.

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