Il fine settimana appena terminato non ha portato ad un accordo per la risoluzione della spinosa questione del debito greco; si fa sempre più probabile un’ipotesi di insolvenza nel caso in cui entro metà Marzo non verrà sbloccata l’ennesima tranche di aiuti per 130 Miliardi di Euro da parte dell’Unione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea, necessari a ridare ossigeno alle asfittiche casse pubbliche elleniche e a pagare i 15 Miliardi di titoli di stato in scadenza proprio a metà del mese prossimo.
Nell’incontro tenutosi ieri tra il Governo di Atene e la Troika, ovvero Ue, Bce e Fmi, non è stato raggiunto un accordo per lo sblocco della nuova tranche di aiuti; questo perché non sono state ancora portate avanti in Grecia delle riforme credibili e durature che possano risolvere i problemi di bilancio, di contenimento del debito pubblico e si abbassamento del deficit.
In particolare, tra le questioni ancora irrisolte che destano particolari preoccupazioni e dubbi ci sono le mancate privatizzazioni delle Aziende di Stato ancora in mano pubblica; una tematica importante su cui la comunità finanziaria internazionale non vuole cedere, anche perché viene vista di cattivo occhio la gestione pubblica greca, accusata di un elevato grado di inefficienza e corruzione al suo interno. Altri nodi irrisolti riguardano la liberalizzazione del mercato del lavoro, che prevede un abbassamento del 20% dei salari minimi, attualmente fissati a 750 Euro, e nuove manovre correttive di bilancio per ridurre il disavanzo.
A sua difesa, il Primo Ministro Papademos e i partiti della coalizione del Governo temono che una manovra così aspra in termini di riduzione della spesa pubblica, di taglio dei salari con contestuale aumento della tassazione potrebbe comportare, oltre che una depressione dei consumi, anche dei forti disordini sociali simili a quelli a cui abbiamo assistito per le strade di Buenos Aires nel biennio 2001/2002.
I tempi purtroppo stringono anche per le richieste avanzate dai creditori privati, in particolare per la ristrutturazione del enorme debito accumulato, arrivato alla soglia del 160% rispetto al Pil; la previsione della rinegoziazione dei bond con uno stralcio del 50% dell’importo capitale sembra non piacere alle banche e alla comunità finanziaria: se da un lato permetterebbe di far rientrare il rapporto Debito/PIL nella soglia del 120% dall’altro le perdite reali per i suoi creditori sarebbero eccessive. L’accordo con le banche, che si accorderebbero esclusivamente in caso di uno stralcio del debito non superiore al 40%, deve essere siglato entro lunedì prossimo, scongiurando il pericolo di insolvenza che si fa sempre più concreto, e che, con un effetto a cascata, potrebbe coinvolgere anche il Portogallo, altro grande malato dell’Eurozona.
In questi giorni le trattative saranno sempre più serrate in modo da scongiurare un ipotetico default, recuperando le risorse necessarie per sbloccare l’ennesima tranche di aiuti da parte di Fmi, Ue e Bce, che permetteranno di trovare degli accordi per ristrutturare il debito con uno stralcio del 40% della sua quota capitale.
L’onere di tutto graverà come sempre sul ceto medio che si troverà a dover sopportare l’onere della crisi, senza che né la dirigenza politica greca, né le banche di investimento e le agenzie di rating, né la comunità politica internazionale responsabili del disastro finanziario attuale, nato nel lontano 2008 a causa della crisi dei mutui subprime, paghino per gli errori compiuti o trovino delle regole per evitare nuovi errori in futuro.