LADRONI DI STATO

di Michele Ingenito

L’ignobile vicenda del senatore italiano che ammette di avere rubato milioni di euro al proprio partito sancisce una sola verità. Rivestire il ruolo di parlamentare all’infinito, come purtroppo accade nel nostro paese, non va più bene. Il sole riscalda, è vero. Stargli vicino illumina. Ma alla fine brucia. Eccome brucia. Nel caso specifico, però, la solenne bruciatura è per il popò degli italiani. I quali, non solo sono costretti a pagare i guai della finanza mondiale (se proprio di questo si tratta), così come le conseguenze della mala gestio politico-economica degli ultimi venti anni che ci ha quasi fatto finire in Grecia, ma devono pure finanziare i partiti che li rappresentano. Partiti che, spesso (per un caso che esplode chissà quanti altri, magari in versione minore, giacciono sotto le ceneri della complicità e del silenzio) si avvantaggiano scaltramente della cosa pubblica (del denaro nella fattispecie) per far campare allegramente i soliti ladroni interni.

Che i vertici di quei partiti sapessero o meno della mascalzonata del proprio senatore non giustifica il fatto che siano comunque oggettivamente (nella migliore delle ipotesi) corresponsabili.

Forse non si rendono conto della rabbia degli italiani quando esplodono fattacci del genere. Rabbia è dire poco in momenti come questi in cui la gente dorme sotto i ponti o quasi. Oggi come oggi sono milioni gli italiani costretti a rinunciare all’indispensabile per tirare avanti la barca. Rinunciando al minimo necessario pur di dar da mangiare ai propri figli. Quelli giovani per farli studiare, per garantire loro un futuro, nella speranza che trovino un lavoro; quelli anziani che, nonostante lauree, specializzazioni e così via, vivono ancora a loro carico.

Chi li convince i modesti pescatori delle nostre coste costretti a vivere di stenti in periodi come questi, lontani dal mare, o i lavoratori delle terre dell’agro-nocerino-sarnese o del Cilento o del Vallo di Diano o i non meno sfortunati validi e/o invalidi a 400/500 euro al mese dell’Italia intera che i soldi dello stato (cioè i loro soldi), destinati sotto forma di finanziamento ai partiti che essi stessi votano, finiscono, poi, a milioni (di euro) nelle tasche personali di un qualcuno che li rappresenta in Parlamento?

Ritrovarsi di prima mattino radio e TV che massacrano (e fanno benissimo) il malfattore di turno, il politico senatore, ma soprattutto faccia tosta, ripreso anni fa nei panni dell’onesto divulgatore di principî comportamentali sani ed onesti, indigna profondamente.

Non ci sono parole. Ecco perché ci associamo al plauso popolare rivolto ai colleghi di tutta la stampa nazionale che, da centro, destra e sinistra (in quest’ultimo caso storcendo comprensibilmente il muso), stanno facendo terra bruciata intorno all’ineffabile personaggio pubblico, per giunta senatore in carica di questa repubblica.

Una persona seria non si limita a riconoscere il proprio misfatto per una ammissione di responsabilità scaturita evidentemente dalle prove certe ed inequivocabili emerse grazie alla magistratura ed agli organi inquirenti. Quindi, ovvia e scontata. Una persona seria e sensibile, per quella stessa sensibilità (negativa) che lo ha indotto a fregare il proprio partito con sapiente audacia e strafottenza nella speranza di farla franca, avrebbe dovuto o dovrebbe dimettersi dalla carica di rappresentante del popolo. Di un popolo di cui è indegno. Per affrontare un probabile processo come cittadino comune, senza ulteriori privilegi.

Così come un partito serio, e nessuno può dire il contrario per quello che gli appartiene, dovrebbe imporre quelle dimissioni, ove non spontanee. Fare la lagna o limitarsi a scaricarlo dal partito salva un po’, ma solo un po’, la faccia.

In mancanza, è qui che deve intervenire lo stato attraverso una legge che impedisca innanzitutto rielezioni eterne al Parlamento. Due mandati sono più che sufficienti per qualsiasi cittadino. Ufficializzare la casta, quella dei parlamentari a vita, ci allontana dalla democrazia; perfeziona soltanto la combutta con il potere di chi, alla distanza, ne diventa interprete specializzato. A proprio vantaggio, a danno di tutti.

 

 

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