Aldo Bianchini
SARNO – Ho avuto modo di leggere un ottimo articolo scritto da Andrea Pellegrino sulla controversa sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha condannato l’allora sindaco di Sarno Gerardo Basile a cinque anni di reclusione. Sullo sfondo della sentenza l’eventuale responsabilità dell’ex sindaco reo di non aver predisposto le necessarie misure di sicurezza ai fini della opportuna “protezione civile” di una comunità che fu travolta da un evento naturale senza precedenti a causa della pioggia caduta come non mai almeno a memoria d’uomo e del conseguente smottamento di parte di una montagna verso la vallata sottostante dove un po’ per incuria dell’uomo e in buona parte per la posizione geografica snaturata era sorta e si era sviluppata, nell’arco di circa due secoli, la città di Sarno. Il giovane collega Andrea Pellegrino pone delle questioni di fondo molto importanti e meritevoli di ulteriore approfondimento. Innanzitutto va ricordato a tutti che l’evento catastrofico che la sera del 5 maggio 1998 causò la morte di 137 cittadini innocenti “non poteva essere previsto” come molto coraggiosamente scrisse a sentenza in data 3 giugno 2004 il giudice Bartolomeo Ietto del tribunale di Nocera Inferiore mandando assolti sia l’ex sindaco Basile che l’assessore Crescenzi. La sentenza fu confermata in data 6 ottobre 2008 dai giudici d’Appello di Salerno, ma la sentenza non fu condivisa dal Procuratore Generale che interpose ricorso per Cassazione unitamente ai familiari delle vittime. Il PG evidenziò il mancato ordine di evacuazione e la diffusione di notizie rassicuranti, invece di allertare tutti a lasciare cose e case per mettersi al riparo. Una interpretazione dei fatti che va rispettata, ma soltanto nei termini filosofici del diritto. Pensate, solo per esempio, al tribunale di Salerno ed alle sue misure di sicurezza; se dovesse accadere qualcosa anche il PG, con l’intera Commissione di Manutenzione, rischia di essere condannato per omessa attuazione delle misure e/o denuncia della precarietà dell’intera struttura. Ma andiamo avanti. L’attenta difesa di Basile, portata avanti dall’avvocato Silverio Sica, aveva messo in evidenza in tutte e tre le fasi di giudizio alcuni aspetti fondamentali: l’imprevedibilità dell’evento calamitoso, la forza devastante dello stesso, la posizione disastrosa della cittadina rispetto alla colata di fango, l’abuso edilizio sistematico che veniva da decenni lontani, l’accanimento del pm Amedeo Sessa nella ricerca di “un colpevole” (verosimilmente evidenziata anche nel corso di una intervista verità sulle frequenze di Quarta Rete) e il fax della Prefettura di parziale allarme giunto in ritardo al comune di Sarno quando ormai la frittata stava per consumarsi. La linea scelta dalla Corte di Appello di Napoli sembra, come scrive Pellegrino, segnare una svolta molto importante ma anche molto rischiosa in materia di responsabilità penali per eventi calamitosi, responsabilità che dovrebbero sempre essere ben distinte tra oggettive e soggettive. Vale a dire che bisogna accertare con dovizia di prove innanzitutto la responsabilità soggettiva per passare, poi, a quella oggettiva che su una sorta di bilancia della giustizia è sempre meno pesante rispetto all’altra. Il timore è che la magistratura in genere si stia, in questi ultimi tempi, orientando verso la punizione durissima della responsabilità oggettiva a causa di una endemica carenza investigativa che non porta da decenni alla sicura individuazione della responsabilità soggettiva. Insomma, come dire che il vero colpevole scompare nella massa di carte e di faldoni processuali a danno del colpevole virtuale che troppo spesso in questo sistema farraginoso finisce per pagare per colpe e responsabilità non sue. Nella fattispecie in esame accade l’assurdo che in mancanza di un responsabile soggettivo si passa direttamente alla punizione del responsabile oggettivo. Anche in presenza di un elemento di una gravità impressionante, cioè quello relativo al fax inviato in ritardo dal Prefetto dell’epoca al sindaco di Sarno. In considerazione del fatto che il Prefetto era ed è l’organismo centrale della protezione civile non si riesce a capire perché da un vero colpevole si debba facilmente passare al virtuale colpevole. Vero è che il Prefetto all’epoca seriamente malato è da tempo deceduto, vero è che ci sono sullo sfondo ben 137 vittime che gridano vendetta, ma è altrettanto vero che non si può a tutti i costi andare alla caccia di “un colpevole” per fare giustizia. Dicevo poco fa dell’orientamento della magistratura verso la responsabilità oggettiva quando non si riesce a colpire quella soggettiva. A conferma di questa mia affermazione è, di questi giorni, anche il processo per il rogo di San Gregorio Magno dove morirono 19 ricoverati per malattie mentali. Ebbene anche in questo caso, non riuscendo gli investigatori ad individuare precise responsabilità personali, la giustizia sta orientandosi verso la dura punizione di quelle oggettive con le condanne dell’ex sindaco dell’epoca e dei dirigenti sanitari del distretto di Buccino. Magra consolazione, a mio avviso, per entrambi i drammatici casi, anche perché l’opinione pubblica è si assetata di giustizia ma di quella giusta e non di quella fatta in ritardo e spesso per caso.