“OCCUPY WALL STREET” E LA CRISI DEL CAPITALISMO

Michele Ingenito

Fa molta impressione vedere sfilare migliaia di americani nel cuore più rappresentativo del capitale; ossia, in quel di Wall Street a New York. Tutta gente che, incompetente quanto vuoi in termini di teorie economiche e finanziarie, sa una sola cosa. Che le banche che hanno loro concesso il mutuo della casa, proprio la casa si stanno riprendendo.

L’attuale crisi mondiale, le cui radici sono inequivocabilmente anche (se non soprattutto) americane, intende porre riparo al dramma in corso di economia e finanza mettendo la mano in tasca a coloro che, di quella crisi, non hanno colpa alcuna.

La ribellione istintiva e determinata subisce perfino l’onta della rappresaglia di chi l’ordine costituito deve comunque tutelare; cioè, della polizia newyorkese che non va tanto per il sottile a Wall Street. Manganellate e trasferimenti in cella si susseguono a danno di chi, pur nella riconosciuta incompetenza, non capisce (e come potrebbe) come mai il sistema capitalistico di cui pure fa parte lo depreda di un diritto acquisito.

Colpa di un capitalismo in crisi? Certamente sì. Ma dietro le colpe si nascondono sempre e comunque le cause. Che, nella fattispecie, sono da attribuire non tanto al capitalismo in sé, quanto a coloro che lo rappresentano e lo gestiscono.

Le umane cose sono logica conseguenza della umana gestione. E quando ai vertici dei poteri economici e finanziari mondiali vengono collocati personaggi presuntuosi e incompetenti, insani e corrotti, i disastri sono dietro l’angolo. A danno delle masse che, paradossalmente (ma non tanto) costituiscono la forza trainante del sistema di cui essi stessi fanno parte.

Non è la prima volta che l’economia del capitale va in crisi. Ma ad ogni crisi segue puntuale la rinascita. Sempre che le redini del mondo economico siano gestite da persone competenti e non da incapaci messi lì ad arraffare a più non posso, inventandosi soluzioni a catena un giorno sì ed uno no, una più discutibile dell’altra.

Quando nell’ultimo quarto del 19° secolo il mondo industriale inglese in pur inarrestabile ascesa risentì pesantemente della crisi della propria economia all’epoca dominante in Europa e nel mondo, con conseguente riduzione del tasso di produttività, la reazione fu automatica grazie allo sfruttamento massimo delle risorse del Paese.

Nessuno, a cominciare dalle banche, si sognò di penalizzare le classi medie o borghesi, nonostante le difficoltà e le pur severe contromisure adottate.

Oggigiorno, invece, l’America delle banche e dei poteri finanziari forti, che insieme gestiscono il patrimonio del mondo, ‘uccidono’ arbitrariamente chi a quel patrimonio ha concorso e concorre; rischiando, così, il collasso generale.

Crescono, dunque, e sono sotto gli occhi di tutti, le critiche alla classe dirigente che conta, ad incapacità ed incompetenze manageriali di chi continua ad essere collocato ai vertici dei poteri dell’economia e della finanza mondiali, prevale, di conseguenza, la paura tra le classi deboli defraudate dei propri legittimi diritti. Con l’unica prospettiva di un collasso generale dai rischi imprevedibili ancorati e unificati alle sempre più numerose ‘primavere’ che, come funghi e per motivazioni apparentemente diverse, continuano a crescere e a proliferare sul pianeta-terra.

Le rivoluzioni sono lontane, storicamente lontane. Ma le dinamiche che le partoriscono, per quanto diverse nelle modalità, si annidano spesso pericolosamente dentro le stesse viscere che le generano per quei corsi e ricorsi storici ai quali sarebbe bene, di tanto in tanto, pensare.

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