Michele Ingenito
Il discorso del neo Presidente del Consiglio Monti al Senato riconcilia non poco il cittadino con la politica. Garbato, elegante, accademico in senso stretto – cioè chiaro, esemplare, comprensivo, quindi convincente – il Premier non per vocazione ha esemplificato i complessi problemi del paese con un linguaggio alla portata di tutti. Non ha nascosto i sacrifici che ci attendono, ma li ha esposti con senso di giustizia, equilibrio, intimo desiderio di partecipazione popolare, nella certezza della equità e della compartecipazione collettiva, proporzionalmente alle ricchezze possedute. La credibilità di Monti e dei suoi ministri nasce dal fatto che, non avendo interessi collaterali, bisogno di compromessi, scheletri da tenere serrati in armadio, le proposte risolutive illustrate vanno nella direzione giusta; nella consapevolezza di potere riuscire là dove altri, Berlusconi in testa, hanno avuto difficoltà superiori alle aspettative. L’aplomb inappuntabile del nuovo primo ministro, la pacatezza del linguaggio, la serenità del dire avrebbe convinto Marx, Owen e Benedetto Croce insieme. Il suo programma si è rivelato come una vera e propria lezione di politica economica, di buon governo, di saggia ed illuminata maniera di intendere ed interpretare il potere pubblico. Gli applausi seguiti dai banchi di destra, centro e sinistra sono apparsi spontanei, quasi strappati da chi, tutti, non poteva non apprezzare e condividere la lungimiranza del programma pur nella pacatezza dell’esposizione. Il limite, certo, di Monti (un po’ meno), ma di molti dei suoi ministri in particolare, è l’inesperienza di una vita non vissuta all’insegna della politica tradizionale, costellata da vecchie volpi capacissime di nascondersi dietro una apparente ostentazione fatta di condivisibilità e apprezzamento del suo dire. Salvo, alla prima occasione, che ci auguriamo non prossima, di trasformarsi in lupi o iene pronti ad azzannare il ‘nemico’. Che, nella fattispecie, è colui che ha loro ha sfilato elegantemente la poltrona. Il gran regista dell’operazione più intelligente e lungimirante di questa parte di storia, destinata agli archivi preziosi della nostra vita repubblicana, è stato quel grande vecchio di Giorgio Napolitano. Abbiamo sempre sostenuto, e ne restiamo convinti, l’esigenza che un paese giovane e moderno debba esprimersi attraverso una classe dirigente poco canuta. Non per pregiudizio, ma per oggettive ragioni legate alle età avanzate e ai conseguenti problemi che esse pongono a vite istituzionalmente frenetiche e faticose. Nel caso di specie, ci siamo sbagliati. Napolitano ha rifilato all’attuale sistema politico nel suo complesso una lezione di civiltà giuridica, di autonoma e superiore consapevolezza dei poteri istituzionalmente conferitigli, di determinazione assoluta nell’interpretarli e attuarli. Dal canto suo, Berlusconi ha reagito con classe, facendo buon viso a cattivo gioco, liberandosi delle opposizioni interne, seguendo pedissequamente gli ‘ordini’ comportamentali e strategici di un Gianni Letta lucido e influente come non mai. Una lezione di stile, insomma, che ha preso in contropiede gli avversari politici, pronti a fasciarsi il capo per gli squallidi episodi di istintiva quanto irritante contestazione nei confronti dell’ex-premier. Ora Monti dovrà fare i conti con la realtà. Miracoli non se li aspetta nessuno. Ma segnali operativamente forti e risultati conseguenti certamente si. Sarebbe la lezione giusta che la classe politica nel suo complesso si merita, a certificazione dell’inutilità di una pletora di rappresentanti parlamentari da mandare quanto prima a casa, e per sempre.
Grazie per averci fatto notare come tutti hanno dato lezioni di stile. Per noi poverini, noi che non abbiamo queste qualità, è riservata una cosa piu’ prosaica ………….PAGARE.