Tra alti e bassi l’inchiesta della Procura sul fallimento del pastificio Amato continua senza soste. In tanti voglio bene al Cavaliere che, però, deve dire la verità.
Aldo Bianchini
Sabato 24 settembre scorso ho parlato per la prima volta del fallimento del pastificio Amato mettendolo in relazione comparata con quelle dell’Alvi di Villani. Il titolo era: “Amato e Villani: il doppiopesismo dei magistrati”, in esso svolgevo una serie di considerazioni ed analizzavo il diverso atteggiamento dei magistrati nei confronti dei due casi che vanno avanti sull’onda della stessa accusa “bancarotta fraudolenta”. In quell’articolo ho scritto anche di uno strano inasprimento delle richieste contro Villani e di una comprensiva benevolenza nei riguardi del Cavaliere che, non dimentichiamolo, ha sponsorizzato finanche la nazionale italiana di calcio campione del mondo nel 2006. Avevo concluso quell’articolo ponendo e ponendomi una domanda molto chiara “”… probabilmente uno dei due è il custode di grandi, misteriori e (forse!!) inconfessabili segreti””. Oggi, dopo una serie molto complicata di accertamenti nell’ambito di quella che è e rimane un’inchiesta giornalistica, posso scrivere che molto9 verosimilmente il custode dei segreti è il cavaliere Giuseppe Amato, don Peppino per gli amici. Un mio informatore mi ha suggerito di porre alcune domande ben precise al Cavaliere sperando che Egli si decida a <<dire la verità tutta le verità, nient’altro che la verità>>. Per arrivare alle domande è necessario, però, ripercorrere in breve la storia del “mitico pastifico” quando già incominciava a mettere a segno i primi colpi a vuoto ed a battere prudentemente cassa. Per salvare i numerosi posti di lavoro entra in ballo anche il ministero, siamo nel 2007 (e il ministro Romani è lungi dal venire) sotto il governo Prodi, e lo storico pastificio sarebbe stato beneficiato da un’ondata di pubblico danaro, qualcuno sostiene addirittura che sarebbe stato concesso un sussidio di circa 50milioni di euro. Nello stesso periodo sembra anche che il Monte dei Paschi di Siena, sulla base di alcune direttive governative, ebbe a concedere un ulteriore sussidio di circa 2milioni di euro. Ho ritracciato questo quadro sinteticamente per consentire anche alla Magistratura inquirente, qualora non lo avesse ancora fatto, do poter allargare i suoi orizzonti investigativi e sempre pro magistratura passo, ora, a porre alcune semplici domande al cavalier Giuseppe Amato. E’ vero o no che all’epoca della concessione del sussidio di 50milioni il presidente della Commissione Finanza della Camera era l’allora parlamentare Paolo Del Mese? E’ vero o no che all’epoca della concessione del sussidio di 2milioni da parte del Monte dei Paschi di Siena nel CdA di quella banca c’era anche l’attuale consigliere provinciale Antonio Anastasio che in quel momento era un delmesiano di ferro? E’ vero o no che a spingere le trattative per la vendita del vecchio stabilimento ai francesi fu lo stesso Del Mese in perfetta sintonia con il Comune di Salerno che spingeva nella stessa direzione per garantire ai francesi nuovi investimenti dopo il fallimento della centrale termoelettrica? E’ vero o no che la famiglia Amato voleva accollarsi il “presunto debito” di Del Mese, e per quale motivo tanta magnanimità? Fu davvero un prestito oneroso? E’ vero o no, infine, che la richiesta di prestito venne formulata in circostanze molto vicine temporalmente alla concessione dei due sussidi sopra richiamati? Le domande poste sono soltanto sei, nulla a che vedere con le famose dieci domande poste da La Repubblica al Cavaliere più noto a livello nazionale. Solo le risposte del cavalier Amato, se mai ci saranno, potranno svelare legami politici, grandi, misteriosi e forse inconfessabili segreti. Legami e segreti in grado probabilmente di rivoltare questa Città come un calzino.