Fa rumore il caso di Francesca Mansi, deceduta nell’alluvione di Atrani. L’Inail ha respinto la richiesta di indennizzo dei parenti più prossimi.
Aldo Bianchini
Atrani – Pochi giorni fa seguendo la trasmissione del “caso Giancarlo Siani” sentii parlare di “giornalisti giornalisti”. A sproposito, molto a sproposito secondo il mio modesto avviso, anche perché in quella trasmissione (scusatemi l’ardire!!) di giornalisti-giornalisti c’era soltanto quel collega più volte perseguitato dalla camorra. Mi ha dato fastidio quella definizione perché pronunciata da chi pensa di essere “giornalista-giornalista” solo perché, grazie ad una buona dose di fortuna, lavora alle dipendenze di una grande testata come Rai/1. Il giornalista-giornalista è, invece, colui il quale quotidianamente cerca di raccontare la verità o almeno la versione dei fatti più vicina alla verità, senza tentennamenti e senza sentirsi in obbligo con nessuno. Come la trasmissione di Rai/1 (fatta talmente male che è stata superata negli ascolti dal film “Un’estate al mare” di Canale/5) mi ha infastidito un articolo scritto sulla vicenda della povera Francesca Mansi che morì (unica vittima!!) nell’alluvione di Atrani del 9 settembre del 2010. Nell’articolo viene attaccato l’Inail a tutto tondo, e con esso tutte le istituzioni in genere, per aver rifiutato il benché minimo indennizzo alla malcapitata al di là delle spese funerarie con un sussidio una-tantum ai parenti della vittima. Nell’articolo si tira in ballo, astutamente anche attraverso le parole del padre di Francesca, l’Inail come colpevole del mancato riconoscimento ma non viene chiarito, come il caso imporrebbe, su quali basi l’Inail deve muoversi in queste circostanze. Io non so se l’Inail risponderà, non mi interessa, così come ritengo che l’Inail certamente non ha bisogno della mia difesa, anche perché nessuno è profeta in patria. Preciso che ho lavorato per oltre trentasette anni alle dipendenze dell’Inail in qualità di “ispettore di vigilanza” e per decine e decine di volte ho affrontato il grave e disumano problema della “vivenza a carico”, perché così si chiama il rigido iter burocratico da seguire nel caso di un infortunio mortale (per causa violenta in occasione di lavoro dipendente!!) di un lavoratore che non è coniugato, che non ha figli e che vive nel nucleo familiare originario (cioè vive con i suoi genitori) oppure da single. In questi casi è necessario accertare che il deceduto con i suoi guadagni contribuisce in maniera decisiva al sostentamento di tutto il nucleo familiare. In pratica le entrate del de cuius dovrebbero essere pari o superiori al 50% delle entrate di tutto il nucleo familiare. Viene da se, nel caso di giovani lavoratori del commercio (come la sfortunata Francesca), la constatazione della difficilissima situazione a cui non è certamente l’Inail a dover porre rimedio. Del resto, al di là del caso di specie, sarebbe incomprensibile elargire con facilità sussidi o rendite a destra e a manca soltanto per umanità. Nel caso di Francesca anche l’intervento del Presidente della Repubblica non ha prodotto effetti diversi, e non poteva essere altrimenti nonostante il “patetico” richiamo di Napolitano. L’Inail, in effetti, non c’entra un tubo, come non c’entra neppure il funzionario ispettore che doverosamente avrà condotto le indagini prima di arrivare alla chiusura negativa del caso. Chiunque, prima di scrivere un articolo tecnico, dovrebbe innanzitutto capire i meccanismi che regolano determinate situazioni. Non tanto per non sparare a zero sugli Enti, che di colpe ne hanno e come, ma soprattutto nell’ottica di fare una corretta informazione. Se non si offrono spiegazioni logiche, anche se fredde e dure, si rischia di strumentalizzare anche il dolore di chi ha già dovuto subire una tragedia immensa, come quella sopportata dal padre e da tutta la famiglia di Francesca Mansi. Insomma la facile e strumentale informazione non ha mai aiutato nessuno, questa la lezione che dovrebbe emergere dalla dolorosa vicenda che ho appena raccontato.