Riscatto si, riscatto no. Il Governo si incarta da solo su un argomento molto spigoloso che andrebbe, comunque, modificato.
Aldo Bianchini
Per comprendere fino in fondo la delicatezza dell’argomento bisogna predisporsi a ragionare senza preconcetti. Va subito precisato che quello del “riscatto della laurea” (cioè degli anni previsti per il conseguimento di quel titolo di studio e non degli anni impiegati per ottenerlo) è un fenomeno quasi unico nel mondo, insomma un fenomeno all’italiana, solo italiano, e come tale deve essere visto. Partiamo subito da un dato. Nel 2010 sono stati oltre 90mila i pensionamenti raggiunti da coloro che avevano provveduto a riscattare la loro laurea. Un esercito che non ha riscontri simili in nessuna parte del mondo cosiddetto civile. E pensare che il famigerato “riscatto della laurea” era nato negli anni dell’immediato dopoguerra per incentivare i giovani a frequentare le Università in un periodo in cui lo spettro della crisi delle pensioni e, soprattutto, della grande recessione economia mondiale era soltanto una ipotesi lontanissima e non praticabile. Verso la fine degli anni ’40, dunque, nel mare magnum della legislazione italica fu inserita la norma del riscatto che era, almeno nello spirito del legislatore, una norma premiale a vantaggio della formazione d una nuova classe dirigente di cui il Paese che si avviava verso il “boom economico” aveva assolutamente bisogno. Come sempre accade, ma solo da noi, la norma premiale si è subito trasformata in un diritto inalienabile, anche in presenza di una crisi drammatica. Oltretutto nel corso dei decenni la semplice regolamentazione iniziale della “norma premiale” si è ingarbugliata a tal punto che, forse, neppure il più esperto dei funzionari ministeriali ci capisce più nulla. Addirittura fino a qualche anno fa il “riscatto” era anche cumulabile. Dalla ricerca effettuata è emersa una giungla di leggi, decreti legislativi, leggine, direttive e circolari da far accapponare la pelle; in alcuni casi di medici specializzati si può arrivare anche al riscatto complessivo di dodici anni di lavoro virtuale. In apertura citavo il numero dei pensionati nel 2010, dopo il riscatto, numero fissato in 90mila. Ebbene bisogna pensare che quei 90mila sono tutti laureati degli anni ’60 o, nel migliore dei casi, degli anni ’70, cioè quando conseguire la laurea era ancora una specie di exploit socio-familiare e per festeggiare il raggiungimento di tale obiettivo si imbandivano banchetti pseudo matrimoniali. Oggi, invece, i laureati si scaricano a carrettate e certamente fra qualche anno arriveremo, secondo uno studio attuale, a pensionare non meno di 500mila soggetti ogni anno che hanno avuto la possibilità di riscattare la propria laurea. Negli ultimi anni, poi, la cosiddetta “laurea breve” ha fatto il resto; insomma dal 5% degli anni ’60 si è passati al 39% di laureati nel 2009 (ultimo dato disponibile), percentuali riferite al numero dei laureati rispetto al numero complessivo degli iscritti. Un incremento che da solo dovrebbe spiegare in maniera chiara il fenomeno che nato come una norma premiale è diventato una specie di diritto personale e di famiglia intoccabile. In pratica un esercito di persone che, in barba a tutte le norme e le riforme pensionistiche in materia di età e anni di lavoro effettivo, andrà in pensione nei prossimi anni in giovine età rispetto ai 65 anni previsti, oppure andrà in pensione a 65 ma con un numero impressionante di anni di lavoro. E questo, credo, non sia sopportabile dal macilento sistema pensionistico italiano. C’è qualcuno che, ovviamente, nell’alzare le barricate difensive di una norma illogica e antistorica afferma che il riscatto costa. Certo che costa, ma anche in questo c’è già chi ha pensato ad inserire una “norma attuativa” in base alla quale gli importi pagati per il riscatto possono essere detraibili ai fini fiscali. Insomma c’è poco da fare, o si ha il coraggio di spezzare questa catena di Sant’Antonio (e su questo il Governo è caduto miseramente e senza scusanti, del resto il fatto che Bossi aveva lasciato Arcore con qualche ora di anticipo doveva lasciar pensare!!) oppure, in estrema alternativa, bisogna rapidamente inserire dei correttivi. Quali ? Di correttivi ce ne sono tanti, si potrebbe cominciare dal distinguere il periodo di lavoro reale da quello virtuale per poter accedere ad ogni tipo di trattamento pensionistico. Poi, per gradi, procedere su tutto il resto. Questo Governo, però, non ne ha più le capacità e neppure le facoltà.
Allora perchè non aboliamo anche il riscatto del periodo militare? Un dubbio: visto che l’autore dell’articolo è già pensionato non è che ha raggiunto l’età pensionabile anche grazie al riscatto dei suoi periodi di laurea? urge smentita o silenziosa conferma