Alfonso D’Alessio
Contro la più pesante manovra economica dal dopoguerra ad oggi. Manifestazione regionale a Napoli in Piazza Cavour
Dopo il balletto delle due ultime settimane, la maggioranza governativa sembra aver trovato la quadra sulle modifiche alla manovra varata il 13 Agosto scorso sotto l’incombere dei mercati e i diktat dell’Unione Europea, ma ancora una volta chi ci rimette sono i settori più disagiati della società e i lavoratori dipendenti. Rimangono inalterati i tagli ai dipendenti pubblici, che non solo vedono confermato il blocco dei contratti, il congelamento delle tredicesime nel caso del mancato rispetto del taglio dei costi da parte degli enti e amministrazioni pubbliche e il rinvio di due anni della liquidazione. Misura in vigore a partire da gennaio 2012, di facilissima realizzazione, molto meno impegnativa che far pagare le tasse a chi evade o impegnarsi in un’efficace lotta contro la corruzione, che pesa sui bilanci pubblici per miliardi di euro! Naturalmente rimangono confermati i tagli di spesa ai ministeri per 6 miliardi entro il 1° aprile del prossimo anno, che concretamente si traducono nell’azzeramento delle funzioni centrali dello stato e nello smantellamento della pubblica amministrazione nelle sedi regionali e provinciali. Rimane inalterata anche la riduzione del 10% della spesa relativa al personale del pubblico impiego da realizzare o attraverso il taglio della retribuzione accessoria o attraverso la riduzione dei dipendenti o attraverso la mobilità coatta anche fuori regione. La scure sulle pensioni non si allenta anzi di fatto si cancella il diritto ad andarci dopo 40 anni di contributi, visto che il riscatto del militare e dei periodi universitari, pagati a caro prezzo, non varranno più come anni di servizio. Viene confermato lo spostamento delle festività non religiose, 1° maggio, 25 Aprile e 2 Giugno, cosa che testimonia di un livore ideologico straordinario nel voler cancellare ogni traccia dei valori fondanti della nostra repubblica che, non dimentichiamo, secondo la Costituzione, è nata dalla Resistenza e è fondata sul lavoro. Rimangono i tagli agli Enti Locali, che vengono ridotti di soli 3 miliardi, con conseguenti drastiche riduzioni o addirittura azzeramenti dei servizi sociali e assistenziali, considerato che la scure sui trasferimenti statali si abbatte ormai da oltre un decennio su regioni, comuni e province. Alla favoletta delle misure entievasione e antielusione, come pure a quella degli accertamenti patrimoniali da condurre a livello locale non crede proprio più nessuno! Ben diversa sarebbe stata la tassazione dei grandi patrimoni, mobiliari ed immobiliari, visto che su 150 miliardi di entrate fiscali bel 126 vengono dalle buste paga! La scure si abbatte anche sulle cooperative, con l’eliminazione delle misure di vantaggio fiscale di cui godono; da tempo la grande distribuzione privata tuonava contro questi vantaggi. Ma chi sarà a rimetterci, le grandi centrali cooperative o i consumatori che si troveranno i prezzi aumentati? La riposta non è difficile. Rimane inalterata la decisione di procedere forzosamente, anche a fronte della contrarietà degli enti locali, alle privatizzazioni dei servizi pubblici locali – rifiuti, energia, trasporti, ecc – con l’arrogante disconoscimento della volontà popolare espressasi con i referendum del 12 e 13 Aprile scorso. Ultimo ma non per importanza il commento sul mantenimento del famigerato articolo 8, quello che tramuta in legge il vergognoso accordo del 28 Giugno scorso, che mentre offre una copertura legislativa retroattiva alla FIAT, rispetto agli accordi e ai contratti per Pomigliano e Mirafiori, aggira di fatto l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori introducendo deroghe alla giusta causa; libertà di licenziare, quindi. Servono a poco le lacrime di coccodrillo della CGIL, firmataria dell’accordo insieme a CISL e UIL, che oggi piange per la cattiveria di Sacconi, quando è stato proprio quest’accordo a dare il via libera a questa flessibilità in uscita tanto agognata da Confindustria. Un massacro sociale senza precedenti, di carattere recessivo e depressivo che, accompagnandosi al ribasso sulle stime del PIL per l’anno prossimo annunciato dal Fondo Monetario Internazionale, da una parte fa prevedere l’arrivo di altre manovrine di aggiustamento entro la fine dell’anno, dall’altra preannuncia l’aumento della disoccupazione e la perdita di posti di lavoro, il rischio per molti di non raggiungere la pensione, la distruzione della contrattazione collettiva nazionale continuando a premiare evasori, corrotti e corruttori e speculatori di ogni risma. E mentre banchieri, finanzieri, speculatori, continuano ad accumulare immense ricchezze, i nostri salari perdono potere d’acquisto a vista d’occhio. Per capire di quanto basta osservare che l’ISTAT ha fissato l’indice IPCA di rivalutazione delle paghe per il triennio 2011/2013 al 6,2%; considerando che già questo indice è depurato degli effetti della dinamica dei beni energetici importati, che i contratti pubblici sono già stati bloccati per legge e che anche molte categorie del privato, vedi i trasporti, sono a loro volta fermi per indisponibilità delle controparti proprio sulla parta economica, possiamo renderci conto della perdita salariale subita dai lavoratori dipendenti. A questo punto è necessario ancor di più scioperare il 6 settembre con i sindacati di base USB, CIB-Unicobas, SLAICobas, SICobas, SNATER, USI, ORSA ed avviare una lunga e determinata mobilitazione in tutto il paese contro le manovre del governo, contro il governo delle banche e dei poteri forti dell’Unione europea, contro chi ci sta facendo pagare la crisi producendo povertà e ingiustizie sociali.