Mal di vivere: incoscienza o emulazione ?

Anna Augusto

L’altro giorno a Salerno, e precisamente a piazza Nicotera a Torrione, un ragazzo di 15 anni si è tolto la vita gettandosi dalla finestra vano scale. In tasca un biglietto per la famiglia. Ultimamente si sentono spesso storie di adolescenti che si tolgono la vita, spesso dopo insuccessi scolastici. Ma qual è il male oscuro che offusca il cervello di questi giovani? Vivono in una società del benessere, posseggono tutto e di più. Ma sono scontenti ,si annoiano,in molti anzichè studiare preferiscono passare ore e ore o al computer o per strada. Non amano nessuna regola,non accettano nessun ‘NO’. Oggi è più difficile essere genitore o figlio? La risposta non è facile. Anzi. Ma non è giusto, nè umano caricare una famiglia di un peso così grande. Si sentiranno colpevoli per sempre.

 

13 thoughts on “Mal di vivere: incoscienza o emulazione ?

  1. Stranamente il “male di vivere” non è proprio quello cantato da Eugenio Montale nel nostro caso, almeno in parte. Se nella vita di un giovane affiora la consapevolezza di essere amato dai suoi genitori “a condizione che”, se si prende atto che si è sconfitti perché il merito è surclassato dal nepotismo, se la società offre quotidiani esempi di contraddizione, se ci metti qualche situazione di rifiuto, se ci metti una scuola che non t’invoglia alla conoscenza, se ci metti la noia (e questa può essere un fattore superabile), allora, cosa rimane? Rimane il “benessere? Quale? Rimane il possedere tutto e di più? Mi sembra che l’Autrice tratti un tema a molte variabili come se fosse una bagatella.
    Se mi immedesimo in questo giovane vedo che non rimane altro che mettere presto fine al male futuro.

    Roller

    1. Mi spiace molto se ha interpretato quanto scritto come una ”bagatella”.
      Qualche volta per non annoiare si sintetizza ,sperando di rendere l’idea e farsi capire
      .Comunque i suoi sono luoghi comuni ,volendo sempre colpevolizzare la scuola,il sistema,la famiglia,certo queste sono concause,ma a mio modesto giudizio,il malessere dei giovani nasce da tante cose,in primis non sanno sognare!Da adolescente,come tanti,avevo tanti sogni,degli obiettivi,certamente il percorso di una vita non è facile e non tutto si è realizzato,ma non mi deprimo ,per questo,anzi.
      La mia generazione ha ricevuto tanti ‘NO’ dai genitori,ma la maggior parte non si è mai sognata di contestare in modo così cruento..Che male cè se un genitore dice :a condizione che…,se ha delle aspettative?

  2. Gentile Autrice, affermare che trattare un problema a molte variabili come fosse una bagatella, non significa assolutamente che io abbia trovato una “bagatella” il suo articolo, se concordiamo sull’uso corretto della lingua italiana. In effetti lei ammette che non si sintetizza in poche righe un tema così complesso. Non può neppure nel suo commento convincere che la mia chiave di lettura sia piena di luoghi comuni e priva di pregio. Questo lo lasci al vaglio degli altri lettori e/o commentatori. Come genitore posso però affermare che i figli si amano incondizionatamente oppure non si mettono al mondo. I giovani non sanno sognare? Secondo lei la società odierna si basa su valori su cui si possa sognare un sogno che si realizzi? Io non credo. Si dà spesso colpa alla scuola, dal mio punto di vista perché la scuola appiattisce e non valorizza e sono gli stessi giovani a percepire risultanze dei Consigli di Classe che mirano al livellamento sistematico. Se l’allievo eccelle rispetto gli altri nelle materie “portanti” (Italiano, Latino Greco, Matematica) si misurano le valutazioni in altre materie (educazione fisica in primis) in modo da non avere rilevanti varianze con i debolucci nelle materie portanti.
    E lei mi trascura il fatto che nepotismo e corruzione non siano elementi di sfiducia? Lo sono per gli adulti, figuriamoci per un adolescente. Mi sembra che anche nel suo contro-commento tende a non vedere questi fattori come elementi di un male di vivere.
    Con i migliori saluti
    Roller

    1. Comunque sia lei che la signora Giovanna ,avete spostato su altri argomenti il significato del mio articolo
      .Penso inoltre che è facile dare la colpa alla società ,alla scuola,alla politica .E’ la famiglia che deve svolgere il compito di educare e dare valori concreti ai loro figli.Il relazionarsi con l’esterno deve essere un accrescimento .
      La scuola non funziona?non valorizza i giovani?
      Non crede che sia colpa dei professori e non del sistema?

      1. Signora, rileggendo il Suo scritto e poi la Sua risposta, mi pare di comprendere che Lei abbia delle idee ben precise. Se da un lato, nel suo scritto sostiene che la famiglia del giovane suicidatosi dovrà vivere con “un peso così grande”, e che ciò non sia giusto, nella sua replica sostiene che le famiglie debbono educare e “dare valori morali ai figli”. Io noto una contraddizione. Inoltre, mi risulta, che ai figli i veri valori, qualunque cosa si intenda per tali, si trasmettono con l’esempio, ma che poi sia importante aiutare i figli ad affrontare i “no” della vita, attraverso quei valori cui accennava. La scuola italiana non brilla, è vero, ma cosa può un docente che rischia di essere aggredito dai genitori di un suo allievo se prova a correggerlo o peggio a valutarlo negativamente (Napoli, scorso anno; varie zone d’Italia, sempre…). La società si cambia poco per volta, a partire dalle famiglie che, nel bene o nel male, sono il primo agente educante. Secondo me bisognerebbe cominciare dal discutere, e sul serio, dei vari modelli proposti oggi tramite i vari reality o i vari pseudovalori virtuali, diffusi con l’avvento di facebook ed affini. Non in Italia, ma ci sono stati casi di adolescenti che si sono suicidati per un’amicizia respinta su facebook…, il problema è complesso, non è puntando il dito o moraleggiando che si risolve. Un buon punto di partenza è…se stessi, cominciare da se stessi e sforzarsi di vedere che vita conduciamo e in che modo possiamo influenzare quelle altrui, anche con un semplice scritto. Se lo è mai chiesto Signora Anna?

        1. Anche che se la famiglia ha sbagliato,ripeto ,non trovo giusto che debba essere caricata ,anche dal peso del rimorso,in aggiunta alla perdita di un figlio,cosa ,le assicuro non facile da gestire.
          Non trovo controsensi nell’affermare con ugual fermezza che è in primis, compito delle famiglie saper educare,specialmente ,come lei ben dice,con un buon esempio.Sono contentissima per tutti quelli che riescono ad ottenere la famiglia del MULINO BIANCO.
          Il mestiere dei genitori è difficilissimo,e in certi casi si sbaglia,ma credo ,nella maggior parte dei casi,per affetto.
          Sono daccordissimo con lei sul ruolo dei docenti nella scuola di oggi.Un compito difficilissiimo!Anche ‘grazie’alle ingerenze dei genitori .
          Comunque il mio post era solo una riflessione su quello che resta..dopo una tragedia.
          Non avevo nè l’ardire ,nè la pretesa di fare del moralismo a buon mercato.
          Mi spiace contraddirla ,ma in Italia ci sono molti suicidi ,tra adolescenti,le cause sono spesso riconducibili agli insuccessi scolastici,o a delusioni amorose.,non si può certo imputare ad un genitore un amore finito.E non possiamo catalogare tutti quelli con dei problemi ,come psicolabili.
          Chapeau a tutti quelli che sanno fare i genitori..

          1. Mi trova pienamente in accordo con le Sue vedute, gentile Signora Anna, quando afferma che si fatica moltissimo ad essere genitori, e che molte volte si sbaglia per affetto. Io ho 37 anni e sono la mamma di un ragazzo di 15, per cui il tema sollevato lo avverto in modo particolare. I suicidi tra adolescenti sono in aumento, non mi contraddice affatto in questo. Le posso assicurare tuttavia che le cause sono più profonde di un insuccesso scolastico o di una delusione in amore. Non mi fraintenda: non voglio dire che queste circostanze non assumano una rilevanza grandissima, non per niente sono spesso il fattore scatenante di un acting-out devastante. No, sono fattori che in termini tecnici si chiamano “slatentizzanti”, ovvero rendono manifesto un disagio che comunque era pregresso. Perchè affermo questo? Perchè molti suicidi, molti gesti di autolesionismo, moltissime manifestazioni di grave sofferenza potrebbero essere efficacemente prevenuti se nella nostra cultura non fosse tabù parlarne. Invece se ne parla dopo, analizzando a posteriori. Quale adolescente sa, ad esempio, che esiste un qualcosa che si chiama autostima, e che è tipico della sua età averla un giorno alle stelle e l’indomani sotto i piedi? Quale adolescente sa che alla sua età è fondamentale essere accettati, e che si arriva a fare di tutto per questo? La scuola, intesa come istituzione, potrebbe fare molto, ma è chiusa a questo tipo di discorso. Molto spesso i genitori minimizzano i problemi dei figli per autodifendersi. Se un problema non lo vedo, non c’è. E’ così? Temo di no, e temo anche che la situazione evolverà in peggio: in Gran Bretagna sono già stati riscontrati i primi casi di anoressia a 5 anni. Dietro l’anoressia c’è un insieme di tematiche impossibili da sviscerare in un commento, ma l’evidenza che compaia in soggetti di 5 anni, dovrebbe far riflettere, e molto, tutti su quanto sia urgente un intervento serio e massivo di prevenzione in ambito di salute ed igiene mentale e comportamentale.
            Cordialmente.
            Giovanna Rezzoagli
            Counselor F.A.I.P.

      2. Nella scuola, sì, è colpa dei docenti che per “quieto vivere” hanno generato una scuola non seria. Il problema è complesso, cara signora Anna, perché nessuno è neppure dalla parte dei docenti siano essi “validi” siano essi “poco seri”. Ecco perché nell’argomento intrapreso mi sono permesso (spero che ora lei percepisca che nessuna polemica ho voluto mettere in atto) che il suo interessantissimo spunto è un problema a molteplici variabili. Nella buona Scienza, si varia una variabile per volta lasciando costanti le altre, nei problemi del tipo da lei sollevato è impossibile.Per quanto riguarda la scuola perdoni la mia idea “nazista” (ma titolari e/o precari o meno) tutti quanti a ridare un concorso per titoli ed esami in sede centrale e sotto controllo diretto di un Ispettore centrale: uno per commissione. Almeno tra le cause di “male di vivere” avremmo ridotto la variabile “scuola che non forma culturalmente e non motiva”.
        Cordialmente e con stima
        Roller

  3. Gentile Autrice, mi permetto di rispondere alla Sua domanda in termini tecnici, che forse potranno sembrare freddi, ma perlomeno sono concreti, e di fronte al dolore a volte non resta altro da fare se non aggrapparsi ai dati concreti. Il male di vivere ha un nome ben preciso, è sempre riferito a disturbi o patologie afferenti la sfera psichica. Poi, solo lo specialista (lo psichiatra) può discernere tra depressione, sidrome distimica o sindrome psicotica. Non ci si suicida ne per incoscienza ne per emulazione, anche se agli occhi di un profano questo può sembrare. Il dramma di una vita che si spezza a 15 anni per suicidio nasconde senza alcun dubbio una problematica interiore che, forse, avrebbe potuto essere intuita a livello familiare, ma non è affatto detto. In Italia non c’è prevenzione, nelle nostre scuole manca la fondamentale figura del Consulente Scolastico (presente in tantissimi Paesi), nella nostra cultura parlare di problematiche psichiche è tabù, mentre è acclarato che quasi due persone su quattro sviluppano perlomeno un disagio una volta nella vita, nei Paesi industrializzati. Un ragazzo di soli 15 anni non sa a chi chiedere aiuto. Noi, in Liguria, stiamo lavorando per portare queste tematiche alla luce del sole, ma si fatica moltissimo. A volte è molto più comodo far finta di non vedere, ma non è distogliendo lon sguardo che si risolvono i problemi.

    1. SIGNORA GIOVANNA.
      replico sotto questo post perchè non ho trovato lo spazio sotto al suo ultimo.Quoto tutto ciò che ha scritto.
      Mia figlia abita in Inghilterra,e lì non cè la vergogna di andare in analisi,ci vanno per ogni minima cosa e si liberano,fanno benissimo.Qui da noi ancora non siamo capaci di fare la differenza tra psicologo e psichiatra
      e quindi abbiamo molta paura che ci etichettano.

      1. Signora Anna, con la Sua testimonianza mi rafforza nel mio pensiero. Mi permetto di aggiungere che in Italia si fatica a distinguere tra psicologo e psichiatra, che molti ne approfittano sulla pelle dei pazienti, e che quasi nessuno sa cosa sia un counselor, ovvero la mia virtuale professione. Virtuale perché non sapendo e non capendo l’utilità di questa figura, diffusa all’estero, non ho lavoro. Nel volontariato c’è spazio, per fortuna. Continui a scrivere di disagi psicologici, solo parlarne farà la differenza nella società in cui vivranno i nostri figli.
        Con stima.
        Giovanna

        1. Neanche io conosco perfettamente il significato della parola counselor,ma ,penso,forse sbagliando che significhi -consolare-supportare,dare un appoggio con le parole,non con terapie.Cercare di far emergere il lato migliore.
          Sfruttare le potenzialità attraverso la propria autostima.
          .Il suo lavoro dovrebbe consistere in un supporto alle persone in difficoltà relazionale.
          Ma capirà benissimo che le persone sono restie a raccontare i fatti propri e così rimuginano internamente.
          Purtroppo come ben diceva spesso non si capisce la differenza delle varie figure-
          Mi perdoni se ho sbagliato tutto!
          La sua figura dovrebbe essere introdotta nelle scuole,di supporto specilamente agli insegnanti,che ahimè non sempre riescono ad entrare in sintonia con i propri alunni.

          1. Gentilissima Anna, tradurre “Counselor” dalla lingua inglese non è facile. Un counselor aiuta e offre supporto a chi si rivolge a lui per disagi interiori, di natura non patologica. Un counselor non consiglia mai nulla: deve aiutare la Persona a scegliere in piena autonomia, attraverso metodiche particolari, utilizzando il dialogo e soprattutto l’ascolto, più di ciò che non viene detto rispetto a ciò di cui la Persona parla. Niente introspezione (riservata allo Psicologo), nessun test o diagnostica (riservata a psicologo e Psichiatra), assolutamente nessuna somministrazione di farmaci (solo lo Psichiatra che è medico può prescriverli). Dal Counselor può andare chiunque, ma tutti coloro che optano per questa scelta dovrebbero sapere che in Italia non esiste una normativa che descriva il percorso di studi che deve fare un Counselor, allora è bene rivolgersi ad un professionista che abbia i requisiti firrati dalla Comunità Europea: 3 anni di corso, tirocinio, aggiornamento professionale. Per intenderci, non si diventa counselor in 6 giorni ma in Italia non è illegale definirsi Counselor dopo 6 giorni di corso. Nelle scuole è una figura che risulterebbe molto utile, ma la chiusura in tal senso è totale. Io ho provato a presentare un progetto che tra l’altro era gratuito, in 5 scuole diverse, tutte mi hanno chiuso la porta in faccia. Ed io sono la prima Counselor italiana ad aver pubblicato un articolo su “Il Giornale di Psicologia”, ho quattro anni di studio alle spalle (tre di corso ed uno di specialistica), e sono la fondatrice dello sportello di Counseling per la rete del Tribunale per i Diritti del Malato. Purtroppo per me non sono figlia/amante/moglie di nessun politico, e neppure parente di qualcuno che conta. Però sono me stessa, al giorno d’oggi, mi creda, non è poco.
            Un carissimo saluto.
            Giovanna

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