Nelle fonti orali del Vallo di Diano, edito da LaVeglia&Carlone. La storia di Antonio Cusati.
Sala Consilina – Il titolo “I bla bla bla dell’Unità d’Italia…” con cui l’altro giorno era stata pubblicizzata, dal Roma-Cronaca, la cerimonia di presentazione dell’ultimo lavoro letterario del prof. Giuseppe Colitti ha suscitato più di qualche reazione, anche scomposta, quasi da ultima spiaggia. Un po’ come se il governo del Paese fosse stato rinviato dinnanzi alle Camere in seduta comune per decidere i destini repubblicani o monarchici del futuro. E’ stato un titolo, ad onor del vero, che ha sorpreso anche me, diretto traspositore dell’articolo pervenutomi così come è stato integralmente pubblicato. Tutti sanno, però, che i titoli sono appannaggio di altre persone, diverse dai giornalisti, che spesso enfatizzano ma assolutamente in buona fede per dare maggior risalto alla notizia. E la notizia c’è tutta, perché il lavoro di Colitti è davvero di pregevole fattura basato sulla realtà e tratto dall’immenso patrimonio dell’archivio sonoro che è stato riconosciuto di notevole interesse storico addirittura dalla Soprintendenza agli Archivi della Campania. Ho, con attenzione, dato una prima passata all’opera di Giuseppe Colitti e, senza avere la pretesa di un critico, devo riconoscere che lo stile narrativo è assolutamente sciolto e di facile comprensione, anzi addirittura si fa leggere con rapidità, tanto è l’interesse che suscita pagina dopo pagina. Mi ha particolarmente colpito il capitolo dedicato a “Un’altra guerra” <quando gli uomini, nell’età che potevano essere di sostegno alla famiglia, erano costretti a combattere, o perché richiamati alle armi o perché volontari in mancanza d lavoro>. Pensate, prima della seconda guerra mondiale gli uomini vedevano o erano indotti a vedere nella guerra “un lavoro” per il futuro delle loro famiglie. Assolutamente sconcertante ma era proprio così, allora la propaganda fascista (che oggi chiamiamo più facilmente “mass media”) con il paravento della Patria riusciva ad instillare nei giovani la convinzione che la guerra era un lavoro utile alla difesa della Nazione. Giovani e meno giovani venivano sballottati in giro per l’Europa come fuscelli al vento e sottoposti anche a intime violenze psicofisiche personali e di gruppo. Raccapricciante la storia di Antonio Cusati (cl. 1912) di Sassano che nelle registrazioni in possesso di Colitti dice: “”Ho fatto la guerra e là mi sono rovinato la vita, la guerra del ’40. La prima volta ho fatto il militare semplice (servizio di leva), il ’33, un anno, a Pola. Il ’35 mi hanno chiamato un’altra volta, quando facevamo la guerra in Africa; in Africa non ci andai, perché la mia classe, la classe del ’12 stava come riserva. E mi hanno congedato; feci sei mesi. Poi mi chiamarono un’altra volta il ’39, dal ’39 al ’43, quattro anni di fila. In tutto ho fatto cinque, sei anni. Prima di partire, da giovane, facevo il calzolaio; dopo sposato mettemmo un negozio qua, di generi alimentari … andai in Venezuela , il ’52, e sono tornato il ‘63””. E’ impressionante constatare, dalle parole di Antonio Cusati, come la propaganda del regime aveva letteralmente massificato milioni di giovani che, come Antonio, si riferiscono alla guerra e dicono parlando in prima persona “ho fatto la guerra e là mi sono rovinato la vita”. Insomma, e questa è la cosa più inquietante, addebitano a se stessi la responsabilità dell’accaduto come se fossero stati loro a determinare ed a volere la cosiddetta “grande guerra”. Non conoscevo questa storia, la bellissima e anche tragica storia di Antonio Cusati; il figlio Pietro, mio sincero amico, non me l’aveva mai raccontata ma tutto sommato, forse, è stato più bello scoprirla così, leggendo l’ottimo lavoro letterario di Giuseppe Colitti.